martedì 26 luglio 2011

Il virus balcanico - quinto capitolo


“Ho fatto un sogno strano, senza alcun senso. E se succedesse qualcosa a Ivan?” Gli disse Marina quando quella mattina era entrato nella cucina. Gli ha versato un po' di caffè nella tazzina mentre continuava a raccontargli il sogno che aveva fatto la notte prima. Anche se voleva ascoltarla, riusciva a beccare soltanto i frammenti di quello che gli stava dicendo. Era tanto preoccupato per Anna. Una settimana si era trasformata in tre, poi in mese e mezzo, e non senza una ragione valida era non soltanto confuso ma anche molto spaventato. Qualcosa non quadrava, lo sentiva, però non sapeva cosa doveva fare, né a chi rivolgerci per avere qualche aiuto. Sua sorella Marina continuava a parlargli della sua preoccupazione per il suo ragazzo Ivan che stava in campo di battaglia e non aveva il coraggio di interromperla.
“Srđan, mi stai ascoltando?” Lo chiese Marina con premura.
“Certo che ti sto ascoltando! Che cosa dicevi?”
“Dimenticalo Srđan, ok? Fammi sapere quando sarai tornato sulla terra.” Gli diede un bacio sulla guancia.
“Vado a fare due passi. Ho bisogno di aria. Se resto a casa ancora per un minuto impazzirò.” Era talmente immerso nei pensieri che riguardavano Anna che non aveva né sentito le parole di Marina, né si era accorto della sua assenza.
Non sapeva proprio come fare a ricuperare la pace interiore che aveva perso da quando Anna se ne era andata. Più pensava della sua sparizione, più era ossessionato con le idee folli che non gli piacevano. Qualcosa non andava. L'impressione che non avrebbe mai più rivisto Anna lo perseguitava ogni giorno e pensava che sarebbe diventato matto se avesse continuato a torturarsi in quella maniera. Sua sorella Marina aveva ragione. Anche lui aveva bisogno di una passeggiata per schiarirsi le idee.




L'atmosfera dell'appartamento in cui viveva la famiglia Tanašković era come ogni venerdì troppo allegra o, come la chiamava vecchio giornalista, caldo-caotica. Ogni volta che sua figlia Mirjana si preparava per uscire con degli amici,  a lui sembrava che si stesse preparando per il carnevale a Rio perché da per tutto c'erano i suoi vestiti in colori diversi. Quella sceneggiata da sempre divertiva Bojan però negli ultimi tempi non era proprio di buon umore, nemmeno per le follie di sua sorella minore. Mentre cercava di concentrarsi sul libro che stava leggendo, Mirjana entrò nella sua camera e interrompendolo mentre stava cercando di prepararsi per il famoso esame di ammissione.
“Fratellino, immagina, non ho nulla da mettere per stasera!” Si lamentò come ogni venerdì sera.
Bojan non sapeva cosa risponderle. Per fortuna non aveva quei problemi. Sua sorella era una campionessa quando si trattava delle uscite serali. Non aveva MAI il vestito adatto da mettere. Da sempre si chiedeva cosa faceva diventare le ragazze così euforiche, non trovava l'altra parola per definire quel loro stato d'animo prima di uscire. A lui piacevano le ragazze semplici, come lo era Maria, la sua vicina di casa che finalmente era entrata nella sua vita in maniera del tutto legale.
“Esci stasera?” Mirjana interruppe i suoi pensieri che come al solito giravano attorno alla piccola villana, il sopranome di Maria datole dai ragazzi di quartiere.
“No. Ho le prove del folclore alle sette e sarò stanco morto dopo. Perché?”
“Pensi sul serio di continuare a frequentare i corsi del corpo di ballo folcloristico o si tratta soltanto della scusa per poter frequentare e conquistare la nostra nuova vicina di casa? Come si chiama? Maria?” Lo prendeva in giro sorella.
La cosa peggiore era che Mirjana non era l'unica che lo prendeva in giro. Miloš, Nicola, Maksim e altri compagni del quartiere non perdevano l'occasione per scherzare con lui a proposito del balletto per i poveri, era il nome in gergo per il ballo folcloristico, il quale per loro rappresentava soltanto una strategia che Bojan usava per conquistare la Cenerentola. All'inizio magari era così, ma col tempo aveva scoperto che gli piaceva ballare, anche il coreografo aveva notato il suo miglioramento, e questo lo faceva sentire orgoglioso di sé stesso.
“Sì Mirjana, penso sul serio di continuare a ballare e d'avvero non capisco perché vi da' tanto fastidio. Almeno non devo pensare cosa vestirmi per uscire, abbiamo le divise gratis.” Sorrise. Con quelle sue parole aveva segnato un goal nella porta dell'avversario, e la cosa gli dava non poche soddisfazioni.  



Nonostante desse del suo meglio, tutto quello che Nicola faceva non gli dava dei risultati sperati. La scuola, la famiglia, per non parlare della sua vita amorosa, tutto andava per il verso sbagliato. Da quando aveva saputo che Nataša era innamorata di lui, aveva smesso di uscire e tutto il suo mondo era il giornale scolastico per il quale lavorava. Non era poi così strano che ultimamente fosse sotto stress che lo portava a litigare con tutti quanti. Quello che gli dava più fastidio era che nessuno dei suoi amici e famigliari lo prendeva sul serio, tranne sua sorella. Nicolina era l'unica persona cui poteva dire tutto quello che gli passava per la testa, tutto quello che gli succedeva, però anche lei negli ultimi tempi aveva perso la pazienza e non voleva ascoltare le sue cretinate. Nicola non provava il rancore nei suoi confronti perché sapeva che lei aveva ragione. Lui stesso faticava a capire quello che gli stava succedendo ma doveva cambiare qualcosa nella sua vita al più presto possibile.
In quello stato confusionale lo trovò, per l'ennesima volta, Nicolina che era stufa di quel comportamento infantile di suo fratello maggiore. Si comportava da bambino, contrario alla sua età, e non per niente la faceva arrabbiare. Ogni pomeriggio, dopo la scuola, lo trovava nello stesso stato, sempre pronto a brontolare. Aveva provato ad aiutarlo, dandogli dei consigli a suo avviso utilissimi, ma il risultato era che suo fratello da giorno in giorno stava letteralmente peggiorando. Lei era stanca di tutto, non aveva più le forze per ripetere quotidianamente le stesse cose, così decise di mollare la presa. Nicola doveva crescere e diventare responsabile, ma doveva farlo da solo questa volta.
“Fratellino caro, io capisco molte cose, davvero. Capisco che non è facile diventare un giornalista, e non lo si diventa di colpo, ma lo volevi con tutto te stesso da quando eri bambino. Smettila con le lamentele per piacere! Devi crescere!” Gli disse mentre lasciava la sua stanza. Era schietta, a volte troppo, ma sperava che le sue parole avrebbero fatto cento e aveva ragione.
Nicola rimase in silenzio. Aveva una voglia pazzesca di fare le valigie e scappare lontano da tutto e da tutti, magari solo per qualche giorno ma così non avrebbe risolto nulla. Scappare non era la soluzione giusta. Lo aveva capito, forse tardi, però sua sorella aveva ragione. Doveva affrontare i problemi e risolverli con le proprie forze, senza chiedere aiuto a nessuno.


Due ragazze, entrambe alte, bionde e snelle, erano sedute nella camera di Anna e stavano discutendo animatamente. Tatiana, l’assistente di Marcello Romani a capo dell’agenzia di modelle per la quale Anna lavorava, era molto agitata e non sapeva come fare per convincere la nuova modella serba di fare un passo indietro rispetto alla decisione che aveva preso. Non era la prima né sarà l’ultima modella che si trovava in quella situazione, e purtroppo neanche lei, come molte altre che Tatiana conobbe nel corso degli anni,  era  disposta a rinunciare alla propria carriera brillante che l’aspettava.
“Anna, devi decidere al più presto, prima che sia troppo tardi. Dopo non potrai interrompere la gravidanza, lo sai. Hai avvisato il padre del bambino?”
NO, QUESTO NO! Non aveva avvisato Srđan, e per essere sincera con se stessa Anna non lo pensava nemmeno. Il padre del bambino. Echeggiavano le parole pronunciate da Tatiana, però non avevano alcuna importanza per lei. Bambino?! Non voleva far nascere quel coso, era l’unica parola che associava alla creatura che portava in grembo. La decisione che aveva preso sarebbe difficile a prendere per qualsiasi altra donna però non per Anna. Diede un’occhiataccia a Tatiana e le disse con una voce gelida:
“No! Non l’ho fatto e non ho alcuna intenzione di farlo. Il bambino non esiste Tatiana e non esisterà. Non cercare di convincermi di fare il passo indietro, sarebbe una perdita di tempo. Io la mia decisione l’ho presa. Ti prego soltanto di tenere la bocca chiusa, va bene? Non lo dirai a nessuno. Giuramelo!” La giovane ragazza russa tacque e fece il cenno di sì con la testa. Questo bastava ad Anna per tranquillizzarla, per ora.
Erano passati due mesi da quando Anna se n’era andata, tanto tempo per far capire a Ivana delle cose che alcuni suoi amici avevano già intuito alla festa che Anna organizzò prima della sua partenza per Roma. Gli aveva detto che sarebbe tornata dopo una settimana però ormai ne erano passate troppe da quando non avevano delle sue notizie e Ivana era sinceramente preoccupata. Pensava spesso ad Anna che era una delle sue migliori amiche dell’infanzia cercando di inventarsi mille scuse per il suo comportamento, mille scenari possibili che avrebbero spiegato la sua scomparsa. E come sempre non faceva altro per giustificarla affinché un giorno non la chiamasse Sonia. “Accendi la tv, sul primo canale c’è Anna!” Le disse urlando. Ivana pensava che si trattasse di un sogno però quando vide il suo sorriso smagliante e quando sentì la sua voce vibrante, dovette ricredersi. Sentiva da settimane la mancanza di Anna, delle loro uscite nel finesettimana e soprattutto del suo sorriso. Sapere che sua amica era capace di inferirle un colpo così basso la rattristò molto, anzi la ferì nel profondo del cuore. Ivana era addolorata. Purtroppo non era l’unica a soffrire per il tradimento imperdonabile di Anna.
Il telefono squillò per l’ennesima volta. Era tardi, quasi la mezzanotte. Come succedeva ormai da parecchi giorni, quella ragazza gli aveva telefonato di nuovo. Non aveva nessuna voglia di chiacchierare con lei ma l’ascoltava pazientemente. Non capiva molte di quelle cose che gli stava dicendo però ogni tanto le rispondeva con un semplice sì più che altro per educazione. La verità era che fosse distratto, molto distratto. I suoi pensieri come al solito erano dedicati a lei, a lei che non riusciva a dimenticare nonostante non avesse le sue notizie da parecchio tempo. Aveva provato di tutto ma non era riuscito a cancellarla dalla testa, dal cuore. Ogni suo sforzo era invano a suo malgrado. Soffriva, eppure tanto. Non riusciva a capire perché Anna lo aveva mentito, perché l’aveva davvero fatto, era ovvio. Non aveva mentito solo a lui, però era l’unico che stava male per colpa sua. Aveva smesso di studiare. Non usciva più con i loro amici. Persino aveva litigato con Marco, suo fratello. E quella là, al telefono, continuava a parlare e straparlare. Srđan cercò di ricordare il suo nome ma senza un esito positivo. Ksenija? Dragana? Chi se ne fregava, tanto anche lei era una bugiarda. Tutte le ragazze erano delle bugiarde, delle belle bugiarde. Non tanto belle quanto lo era lei, e non potevano sostituirla con facilità nonostante tutti i loro sforzi. Anna era ancora insostituibile e l’unica ragazza che Srđan amava.
Gli veniva la voglia, quando si sentiva disperato, di rivolgersi a quell’idiota che aveva l’agenzia di moda che aveva procurato quel lavoro a Roma ad Anna. Voleva dirgli cosa pensava di lui, ovviamente tutte cose negative, ma capì che sarebbe stato uno sbaglio. Come se Bogdan, questo era il nome del tizio, era colpevole! Doveva prendersela con Anna, la vera responsabile della rabbia che provava. Non aveva più alcun dubbio dopo averla vista la sera prima in un popolare tv show dove era l’ospite d’onore.  Srđan stava per svenire quando la vide. Anna Gavrilović, la nuova stella delle sfilate romane, stava salutando i telespettatori della televisione serba e raccontava alla giornalista Mira Adanja Polak della sua vita a Roma. La parola “vita” lo fece arrabbiare molto. Si sentì ribollire il sangue nelle vene. Se Anna gli fosse stata vicina l’avrebbe di sicuro strangolata! In quel momento capì che gli rimaneva soltanto una cosa da fare: dimenticarla una volta per tutte! E mentre la signorina al telefono lo invitava a uscire con lei, giurò a se stesso che MAI e poi MAI avrebbe permesso ad Anna di fargli del male. Lei non era né prima né sarà l’ultima ragazza del mondo! 



Lo avevano trovato là, nella stazione delle corriere. Era tutto congelato e mezzo addormentato. Colpito dal dolore che gli spezzava il cuore in due ormai da mesi, si è arreso alle forze dell’ordine senza porre alcuna resistenza. Aveva soltanto cercato di realizzare il suo unico sogno ma non glielo avevano permesso. Era rimasto zitto quando gli avevano chiesto di dire il suo nome e dove era diretto. Gli aveva dato i suoi documenti con la testa chinata in giù perché aveva paura che i soldati che lo avevano catturato potessero vedere nei suoi occhi la verità che di sicuro non avrebbero gradito. A Dražen non importava se gli sarebbe successo qualcosa, se sarebbe stato arrestato o meno, perché ormai la sua vita non aveva alcun senso. Niente aveva senso e c’erano poche probabilità che i ragazzi in uniforme lo avrebbero aiutato a correggere i vecchi errori. Magari sarebbe andato tutto diversamente, se soltanto fosse riuscito a raggiungere il territorio controllato dai Serbi, che era il suo piano originario. Chissà, magari poteva trovare qualcuno pronto a dargli una mano a tornare a casa a Belgrado, ma era poco probabile, viste le circostanze.
Uno dei soldati che controllava la sua carta d’identità lo guardò male, probabilmente perché non gli piaceva quello che ci leggeva, il nome della città in cui Dražen era nato. Però, magari per compassione verso un suo coetaneo che stava piangendo, il soldato decise di lasciarlo andare raccomandandogli di fare attenzione visto che la Croazia era ancora sotto l’assedio serbo. Dražen lo ringraziò a malincuore, e non soltanto perché il soldato lo aveva ferito con quello che aveva detto riguardo ai suoi compaesani, quanto perché doveva rinunciare al suo piano. Chissà come reagirà la sua famiglia quando scoprirà che stava per scappare da casa e andare là da dove lo avevano portato con la forza. Scoppierà una guerra, non ne dubitava. Però quello che sarà, sarà. Qualcosa doveva cambiare perché Dražen era stufo di quella vita.

 
                                      *

Aveva pensato a lungo a quello che avrebbe dovuto fare per i risolvere tutti i suoi problemi. Più ne pensava, più si rendeva conto che sua sorella Nicolina avesse ragione. Doveva crescere, cambiare lo stile di vita che conduceva. Ormai era stufo di quel solito tram-tram che consisteva dalla casa, la scuola, il giornale scolastico e l’esame d’ammissione all’università. C’erano molte altre cose oltre a quello, le cose che Nicola ignorava. C’era lei. Lei che da mesi gli mandava dei segnali che rifiutava, ostinatamente, ma non poteva farlo a vita. Aveva capito, anche se gli doleva ammettere, che iniziava a provare qualcosa per quella ragazza. Il suo orgoglio maschile non gli permetteva ammettere certe cose. Per carità, Nataša era più piccola di lui, e di conseguenza non era la ragazza giusta. Ma più cercava di allontanare da sé quel pensiero ormai ricorrente, più si convinceva che doveva fare quel passo decisivo. Doveva affrontare Nataša prima che fosse tardi. Si alzò, si vestì e mentre si guardava allo specchio nel corridoio, capì che la decisione appena presa era quella giusta. Prese di corsa le chiavi della macchina di suo padre e uscì dall’appartamento correndo. Non aveva paura della polizia che avrebbe potuto fermalo per l’eccesso di velocità, la sua felicità era molto più importante. Sperava soltanto che Nataša avrebbe acconsentito ad ascoltarlo. Aveva molte cose da dirle.
 “Buongiorno tesorino! Scusa se ti ho svegliato, però dovevo parlarti. Non ho chiuso l’occhio stanotte a forza di pensarti!” Stava davanti alla porta di casa di lei mentre le gocce di pioggia che batteva per tutta la notte stavano bagnando le ciabatte preferite di Nataša.
“Sei matto! Sveglierai i miei! Se papà ti vede, saremo entrambi nei guai! Oh, Gesù, sei tutto bagnato! Aspetta, vado a prendere un asciugamano. Arrivo subito!” Disse e chiuse la porta. Pensava che tutto fosse il frutto della sua immaginazione ma la tosse che proveniva dall’altra parte della porta inevitabilmente le faceva capire che si trattasse della realtà.
Dire che era confusa è poco. Non lo aveva mai visto in quello stato. Doveva essere ubriaco se aveva deciso di andarla a trovare nel cuore della notte. Mentre prendeva l’asciugamano azzurro dall’armadio, si chiese cosa lo aveva spinto a fare quel passo. Non si vedevano dalla festa del sedicesimo compleanno di Nataša. Nicola non faceva altro che evitarla da quando si era reso conto che lei avesse una cotta per lui. “Io e te non possiamo stare insieme. Che ci faccio con una bambina come te?” Le disse quel giorno davanti alla scuola dopo che avevano litigato per l’ennesima volta. Le sue parole l’avevano ferita molto ma non glielo avrebbe ammesso, neanche sotto la tortura. Aveva pianto a dirotto quel giorno mentre aspettavano il tram , ma per fortuna lui non se n’era accorto. Anche allora pioveva. Una coincidenza o il destino ci aveva messo il suo zampino?
Aprì lentamente la porta. Aveva paura di svegliare i suoi genitori. Nicola era seduto sulle scale e pareva che si fosse addormentato. Lo avvicinò con premura per non svegliarlo. Mentre lo copriva con l’asciugamano, lui fece una mossa con la testa e disse qualcosa che Nataša non aveva capito in primo istante. Lui si alzò di scatto e la afferrò per la mano.
“Usciamo un attimo fuori. Facciamo due passi. Dobbiamo parlare Nataša.” Nataša fece segno di no con la testa.
“Sei pazzo! Non se ne parla Nicola! Sta piovendo fuori ed io sono in pigiama. Prenderemo freddo. Mica vorresti prendere la polmonite? Io no!” Alzò il tono della voce. Nicola mise con tenerezza un dito sulle sue labbra per zittirla. Non voleva che litigassero di nuovo. Litigavano anche troppo nelle ultime settimane. Aveva in mente un programma totalmente diverso.
“Basta con le discussioni Nataša. Puoi metterti la mia giacca. Non possiamo parlare qui in corridoio, sveglieremo i vicini e non solo loro.” Sorrise tra sé e sé. Sapeva quanto il padre di lei era rigido. Non poteva immaginare neanche cosa sarebbe successo se li avesse sorpresi in quel momento. Si girò verso Nataša e la prese per la mano.
“Credo che abbia smesso di piovere. Andiamo! Ho preso la macchina di papà, per prima cosa faremo un giro in città. Poi faremo la colazione insieme. So che ti piace il burek sa sirom. Me l’ha detto Katarina. Poi ti accompagno a casa, dovrai vestirti. Poi andiamo a scuola. Ti aspetterò dopo le lezioni per riaccompagnarti a casa. Faremo così fino alla fine dell’anno scolastico, per dopo si vedrà. Hai qualche domanda?” Le disse mentre scendevano giù con l’ascensore.
“Tu sei pazzo oppure ubriaco, non saprei cosa è peggio! Non ho alcuna intenzione di andare a fare il giro con te vestita così!” Era ridicola e così dolce che gli faceva tanta tenerezza. Lo guardò confusa. “Che significa tutto questo Nicola?” Domandò. Stavano camminando per la strada mano nella mano in direzione parcheggio. Non capiva cosa stesse accadendo, anche se lui avesse provato a dirglielo in un modo scherzoso quello che aveva capito da qualche tempo ma non aveva il coraggio ad ammettere.
“Vuol dire che hai vinto tu Nataša. Non posso stare senza di te neanche per un minuto. Sei contenta adesso?” Sorrise non tanto per la confusione stampata sul viso di lei, tanto per quello che le stava dicendo. “Non posso credere che mi sono innamorato di una bambina come te!” Non riusciva più a starle lontano. La baciò mentre alcuni passanti che a quell’ora andavano al lavoro applaudivano.
Nataša non ci pensò neanche per un istante. Rispose al bacio di Nicola. Il sole sorgeva. Con un nuovo giorno stava nascendo anche il loro amore. L’amore che Nataša sognava dal primo loro incontro. Era talmente felice che volesse gridare a tutto il mondo quello che stava provando.  Non le importava quello che potrebbero pensare di lei, vedendola vestita così tra le braccia di un ragazzo che non smetteva di baciarla. Esistevano solo loro due in quel momento, tutto il resto non contava.
“Contentissima! Mi piace vincere! Scherzi a parte, guarda che ore sono! Devo andare ora prima che i miei si accorgano che sono sparita. Sappi però che sono molto, ma molto felice grazie a te! È una giornata meravigliosa! Ci vediamo a scuola!” Gli diede l’ultimo bacio prima di incamminarsi verso la porta d’ingresso.
“Vado anch’io, prima che papà faccia la denuncia per furto.”
“Hai rubato la macchina?” Chiese Nataša. Moriva dalle risate.
“Preso in prestito, ai miei tempi si diceva così. Pare che le nuove generazioni sono piuttosto moderne, hanno un linguaggio tutto loro.” Sorrise anche lui.
Nicola era altrettanto felice. Finalmente tutto era a posto. La sua vita finalmente aveva un senso. Aveva capito il significato di tutto quello che sua sorella gli diceva nell’ultimo periodo. Come al solito aveva capito tutto prima di lui. Era contento per averle dato retta, ma soprattutto era soddisfatto perché le cose tra lui e Nataša si erano sistemate.
“Guarda che io non sono tanto più giovane di te. Vecchietto! Ora vado sul serio! A dopo!” Lo salutò con la mano prima che sparisse dietro la porta d’ingresso. Nicola rimase ancora immobile a guardare nella direzione in cui era andata Nataša. 


Il mattino era grigio e nebbioso. Le previsioni del tempo non erano per niente rassicuranti. La pioggia era in arrivo. Era proprio quello di cui Anna aveva bisogno. Per una ragione a lei sconosciuta si sentiva a suo aggio quando pioveva. Il rumore della pioggia la aiutava ad addormentarsi e a dimenticare. Almeno per un istante poteva scordarsi di quello che era, quello che era diventata col passare degli anni, e soprattutto poteva dimenticare colui che era l’unico colpevole di tutto quello che le era successo nella vita. Faceva finta di amarla ma non la amava abbastanza da appoggiare la sua carriera di modella. Le ambizioni di Anna non erano mai state di grande importanza per lui, almeno non quanto le sue ambizioni. Lo amava molto tempo fa, o almeno pensava di amarlo, ma ormai che importanza aveva? Lui apparteneva al passato nonostante il bambino che Anna portava in grembo fosse l’unico legame tra di loro. Un legame che era destinato a durare ben poco visto che sarebbe stato spezzato fra un paio d’ore. Finalmente avrebbe potuto lasciare tutto alle spalle e non vedeva l’ora d’iniziare una nuova vita lontano dalle guerre, dalla miseria, dalla gente invidiosa e cattiva.  Lontano da quella città che ormai era morta e sepolta per Anna. La sua vita, tutto quello che sognava, era a Roma. Il sogno si era avverato e poteva essere felice, però nonostante tutto, non riusciva a rilassarsi né ad addormentarsi. E anche se riusciva, sognava sempre la stessa cosa: la bambina bionda degli occhi verdi tra le braccia di Srđan. La bambina la salutava con una manina e con l’altra abbracciava suo padre. Quando Anna cercava di avvicinarli, loro sparivano e Anna si svegliava di colpo.
Non era la prima volta che li sognava. Quasi ogni notte le venivano in sogno dal giorno in cui aveva deciso di abortire. L’unica persona a cui Anna aveva raccontato del sogno era Tatiana, l’assistente di Marcello Romani, il direttore della casa di moda per la quale lavorava. La ragazza russa piuttosto superstiziosa aveva interpretato quel sogno come il segno che Anna doveva rinunciare a quel patto diabolico e avvisare immediatamente il padre della creatura che portava in grembo. “È il segno di Dio. Perché non lo vuoi capire? Non fare degli errori di cui potresti pentirti un giorno!”  Tatiana non era soltanto superstiziosa ma anche molto religiosa ma Anna non aveva alcuna intenzione ad ascoltarla nonostante Tatiana, Tati per amici, fosse l’unica amica che Anna aveva a Roma. Se davvero aveva amici.
Così, una volta deciso cosa fare, Anna si era rivolta ad una clinica privata dove era possibile fare l’intervento per una cospicua somma di denaro. Quella stessa mattina aveva chiesto a Marcello Romani di anticiparle lo stipendio. Dodici milioni delle vecchie lire che bastavano e avanzavano per quello che doveva fare. Qualche giorno dopo quel primo appuntamento in clinica, le avevano fissato la fatidica data, data che ormai era vicinissima. Diede un’occhiata all’orologio sul comodino. Erano le sete e un quarto. Aveva passato anche quella notte in bianco. Nemmeno la pioggia ha avuto l’effetto sperato su di lei. Per fortuna non era sola. Tati ha accettato ad accompagnarla. Entrambe avevano preso le ferie e nessuno, proprio nessuno, era al corrente di quello che stava succedendo. Era e lo sarebbe rimasto il loro piccolo segreto. Tati sperava fino all’ultimo momento che Anna avrebbe cambiato l’idea, ma si sbagliava. Anna aveva già preso la sua decisione e non aveva minima intenzione a rinunciare all’opportunità che la vita le stava offrendo.


                                                     *

Caos. È l’unica parola che potrebbe descrivere quello che provo in questo momento. Caos e rabbia. Rabbia per tutto quello che ci sta succedendo. Rabbia perché ci sono molte domande rimaste senza una risposta. Rabbia che non svanisce. Una rabbia a volte mascherata dal dolore, dalla tristezza e dalle lacrime  che non si possono nascondere. Rabbia per la fine della mia storia d’amore con Dražen, rabbia per la partenza di Darko. E mentre sto guardando il nuovo spettacolo teatrale alla maniera balcanica in diretta sul piccolo schermo televisivo, non posso fare altro che pormi delle domande: Cosa ci è successo? Dove ci siamo perduti? E la domanda più importante, quando mi sveglierò da questo brutto sogno? È passato quasi un anno ma sembra fosse ieri. Quel maledetto 26 giugno del 1991. E perché di tutto questo? Per una stupida guerra che non volevamo e che succede lontano da noi. Per una stupida guerra per la conquista dei territori che non sono neanche nostri, ma su cui suolo vivono dei Serbi come noi, e non solo. Per una stupida guerra fortemente voluta e cercata da lui, da quel politico brillante che sognava una Serbia grande per la quale, se gli si può credere, bisognerebbe dare anche la propria vita. Lo abbiamo eletto noi e il tempo ci dirà se avevamo la ragione, o meno. Lo ammiriamo e lo apprezziamo per le sue straordinarie capacità diplomatiche che ben presto, senza alcun dubbio, ci salveranno dall’allargamento del virus balcanico. uscire  E se strada facendo occupiamo qualche villaggio croato o bosniaco, tanto meglio per noi, no? Come se avessimo qualche voce in capitolo, almeno io non ne ho.

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