martedì 19 luglio 2011

Il virus balcanico - quarto capitolo

Il dottore era soddisfatto dei progressi che aveva fatto e glielo aveva sottolineato per l'ennesima volta mentre lasciava il suo ambulatorio. Vidosava non era proprio soddisfatta ma neanche messa tanto male per lamentarsi. Il dottore le aveva salvato la vita. Poteva finire anche peggio però quello che era successo era soltanto un avvertimento prima di ricevere l'ultima telefonata le disse scherzando. Lei non era contenta però non aveva neanche tanta scelta. Poteva o vivere o morire, nonostante suonasse crudele. Aveva scelto, l'avevano fatto gli altri per lei a dire la verità, la vita. La vita senza il suo figlio prediletto ed adorato di cui sentiva tanta mancanza e di cui scelta non condivideva, né gli avrebbe perdonato finché sarà viva per averla abbandonata andandosi in stupida guerra. La vita con lei, unica e diversa, più forte di Vidosava stessa e con un carattere determinato e decisivo che aveva ereditato dal padre e alla quale non aveva mai detto quanto bene le voleva. La vita con lui per cui aveva lasciato tutto e per la colpa di cui erano rimasti irrealizzabili  tutti i suoi sogni. Per compiacergli si era trasformata in una perfetta donna di casa che per anni si occupava solo di lui e di loro figli e aveva completamente trascurato sé stessa ma non le dispiaceva. Vidosava era felice e contenta della vita che faceva fino alla dissoluzione della sua Patria ma da allora troppe cose erano cambiate.
La Slovenia e la Croazia, due ex repubbliche iugoslave, avevano proclamato l'indipendenza. La guerra civile era soltanto all'inizio. Dražen aveva lasciato Sonia ed era partito per Zagabria con i suoi. Darko aveva deciso di andare in guerra come volontario e chi sapeva se era vivo e dove si trovava. Poi, si è ammalata gravemente, ha avuto l'infarto ed è stata per settimane in ospedale dove i medici lottavano per salvarle la vita. L'unico pregio di tutta la situazione era che finalmente la loro famiglia si era in qualche modo riunita. Tutto quell'amore tra suo marito e la figlia Vidosava non aveva mai visto per tutti gli anni del loro matrimonio. Da quando era tornata dall'ospedale si comportavano strano. Erano premurosi con lei e gentili, anche se in una maniera eccessiva, l'uno con l'altra. Proprio loro due che non facevano che litigare dalla mattina alla sera. Suo marito Miroslav aveva sempre cercato di influenzare la vita di loro figli però senza un esito positivo per fortuna. Darko e Sonia dall'altro lato erano troppo testardi, l'avevano preso dalla madre diceva Miroslav, e facevano sempre quello che volevano. Nonostante non avessero un buon rapporto, Vidosava sapeva che suo marito voleva bene ai loro figli solo che non sapeva come mostrarglielo. E pure loro gli volevano bene, anche se non glielo avevano mai detto. In fondo, tutto sommato, erano una famiglia felice. Magari non tanto felice quanto lo erano quando Darko era con loro, però si volevano bene lo stesso. E proprio per loro, per sua famiglia, Vidosava avrebbe continuato di vivere. E chissà, un giorno magari anche Darko tornerà, e allora sì che saranno una famiglia unita e felice. Vidosava non ne dubitava.



Più Nataša ci pensava di Anna, anche se le dispiaceva, più si convinceva  che qualcosa non andava. Anna continuava di negare ogni suo collegamento con gli articoli della stampa che la vedevano protagonista e con suo comportamento non faceva che alimentare dei sospetti. Nataša stava per impazzire e ha pensato che sarebbe stato meglio se si confidava con qualcuno. Si rallegrò quando dopo la scuola Katarina accettò di accompagnarla in loro bar preferito dove di solito si incontravano per prendere il caffè. Mentre aspettavano il loro ordine, Nataša ha deciso di aprirsi con Katarina ma scoprì che anche lei era confusa e piena di dubbi che riguardavano Anna.
“Ho visto l'articolo anch'io, però è strano, a me Anna non ha detto nulla. E a te? Domandò Katarina a Nataša.
“No, scherzi. Quando le ho telefonato, ha negato tutto. Non ti sembra strano, no? Però la conosci anche tu. Sai come è fatta Anna, a volte è un po' lunatica. Ma ultimamente è davvero molto cambiata. Non so se l'hai notato anche tu.”
Due ragazze erano davvero sconcertate. Certo, erano molto contente per il  futuro successo di loro amica. Sapevano quanto Anna avevo lottato per realizzare il suo sogno più grande e il successo non era soltanto garantito ma l'aveva meritato al cento per cento. Nonostante tutto ciò, Nataša e Katarina non capivano perché Anna si stava comportando in quella maniera. Tutto il paese, l'intera capitale, tutti avevano saputo del suo futuro successo tramite la stampa e la cosa strana era che anche sue amiche l'avevano scoperto nello stesso modo. Qualcosa non combaciava in quel quadro idilliaco del loro amicizia.


                                           
                                                 *


Da giorni era sotto stress. A dire la verità, Dražen stava proprio male. Sentiva la rabbia mescolata con la tristezza che da tempo sopprimeva ma sapeva che prima o poi sarebbe arrivato al punto di scoppiare come una bolla di sapone. Non poteva continuare a far finta che tutto andava per il verso giusto quando, in realtà, era troppo infelice. Nel profondo del suo cuore erano nascoste tutte quelle emozioni che provava da quando aveva lasciato Sonia e doveva per forza continuare di nasconderle. Si sentirebbe meglio se potesse confidarsi con qualcuno ma chi avrebbe potuto capire quello che stava provando? Nessuno. Nessuno era in grado di capire la sua sofferenza e tanto meno di capire quello che sentiva ancora per Sonia, quell'amore che sarebbe rimasto nel suo cuore per sempre. Il tempo fa guarire ogni ferita, però quanti anni dovevano passare affinché lui potesse riacquistare quella pace, quell'equilibrio della vita? Non esisteva quella cifra perché anche se gli avessero offerto l'eternità, per lui non sarebbe stata sufficiente. Lui aveva soltanto bisogno di lei, di colei che ora era là dove fino a qualche tempo fa stavano sognando un futuro insieme che per il momento non esisteva. Aveva bisogno di colei di cui sorriso era sufficiente per far sparire le nuvole nere dal cielo della sua vita. Colei che fino ad ieri almeno poteva guardare sulle fotografie del vecchio album, l'unico souvenir che si era portato da Belgrado e che misteriosamente era sparito dalla sua stanza.
Dražen sapeva benissimo chi si nascondeva dietro quel crimine così atroce. Si trattava di colei che non è mai riuscita ad abituarsi alla sua relazione con Sonia. Si trattava della stessa persona che per anni coltivava nel cuore l'odio profondo e che non vedeva l'ora di dirgli tutto quello che non sopportava. Era la stessa persona che gli aveva dato la vita e allo stesso tempo era pronta a togliergliela. Colei che, se poteva crederle, aveva fatto tutto quello che affatto soltanto perché l'amava tanto, però tutto ciò non poteva giustificare quello che gli aveva fatto. Non aveva nessun diritto di distruggere la felicità di due ragazzi giovani però lei, come al solito, aveva il diritto a tutto. E adesso in nome di quel suo diritto lo aveva privato dell'unica cosa che ancora lo legava a Sonia e a Belgrado.  Si sbagliava di grosso se pensava che con quel suo gesto era riuscita a cancellare i suoi sentimenti. Al contrario, con quel suo gesto aveva soltanto contribuito al rafforzamento del suo amore per Sonia. E se aveva l'intenzione di continuare ad ostacolare il figlio, glielo avrebbe fatto pagare cara. Dopo tutto si trattava della sua vita e prima o poi riuscirà ad essere quello che era prima del benedetto trasferimento. Per ottenerlo, dentro di sé sentiva che dovrebbe far qualcosa. Doveva fare qualcosa per dispetto di sua madre che con quel suo comportamento lo aveva ferito profondamente, per dispetto della guerra, ma soprattutto per dispetto di quello stupido destino che non gli piaceva affatto e che prima o poi avrebbe sconfitto.


Erano seduti nel salotto di casa loro e stavano chiacchierando come se non fosse successo nulla; come se non gli aveva detto che lasciava il paese per qualche giorno e come se lui non si fosse mai arrabbiato con lei. Si stava avvicinando il giorno della sua partenza e per qualche motivo a Marco sconosciuto, Anna voleva incontrarsi con loro amici per una specie della festa d'addio. Apparentemente, lei era dispiaciuta perché sin dall'inizio non aveva informato loro amici che avrebbe firmato il contratto per fare la sfilata romana e siccome tutti quanti loro avevano appreso la notizia dalla stampa, si sentiva di dovergli fare delle scuse. Marco aveva accettato il pretesto della sorella senza averne riflettuto con calma. Mai eppoi mai avrebbe pensato che tutto era un'illusione, una messa in scena da giorni preparata da Anna alla perfezione.
E Anna? Anna era nervosa. Era nervose e da un punto di vista anche triste perché sapeva benissimo quello che le stava aspettando. Una parte di lei, incentivata dal buonismo, l'ironia della sorte, voleva liberarsi da quel fardello pesante che si portava addosso. Mancava poco che ammetteva la verità a Marco, però all'ultimo istante aveva cambiato l'idea. Non avrebbe avuto alcun senso dirgli la verità. Come al solito, Marco non l'avrebbe capita e il suo improvviso buonismo sarebbe stato interpretato nella maniera sbagliata. Mentre aspettava che arrivassero tutti suoi amici, nervosa come era, non riusciva a smettere di camminare giù e su per la stanza cercando di tranquillizzarsi.
“Non ti sembra strano il fatto che ci ha invitato tutti quanti?” Chiese Nicolina a Nataša mentre aspettavano, non lontano dall'edificio dove viveva Anna con i suoi nella via Takovska, Ivana, Tijana, Katarina e Sonia, le quali, come al solito, erano in ritardo.
“Sono assolutamente d'accordo con te. Quando stamattina Anna mi ha telefonato, ho pensato la stessa cosa. Non so a te, ma a me è sembrata così innaturale, come se fingesse. “ Rispose Nataša saltellando di qua e di là dal freddo.
“Siamo della stessa opinione. Vedremmo. Non ci posso credere! Guarda che ora è e loro sono ancora in ritardo!” Esclamò Nicolina dalla rabbia.
“Ragazze, non siete alla conferenza di stampa di Anna?” Gli domandò il ragazzo che si stava avvicinando sorridendo come al solito.
“Ciao Maksim. Potremo chiederti la stessa cosa.” Disse Nataša.
“Sembra che io sia in ritardo. Non aspettavate me spero?” Gli chiese preoccupato.
“Stiamo aspettando le principesse dal Vračar[1] e dalla Zvezdara[2], tra l'altro anche tua ragazza. Ti preghiamo di scusarci con la star della conferenza stampa perché a quanto pare, saremo un po' in ritardo.” Scherzò Nicolina.
Quando Katarina stava per uscire dall'appartamento, suonò il telefono.
“Pronto!” Disse Katarina. Dall'altra parte era Tijana che sembrava fosse molto arrabbiata.
“Dove sei? Ti sto aspettando sotto casa da più di mezz'ora. Meno male che qui al bar mi hanno dato la possibilità di usare il loro telefono. Sei matta? Siamo in ritardo, sbrigati!” Tijana era talmente alterata che non aspettò la risposta di sua amica e subito mise giù il ricevitore.
Mentre Katarina stava scendendo non poteva a non pensare alla serata che Anna aveva organizzato e per la quale, secondo le parole di Tijana, era in ritardo. Ultimamente, lei e Anna si erano allontanate l'una dall'altra e non capiva perché Anna insisteva che Katarina fosse presente a quella pagliacciata che loro amici chiamavano ironicamente la conferenza stampa. Del resto, Anna non aveva neanche pensato di informarli del suo successo, il quale tutti loro avevano scoperto tramite i giornali, e adesso si aspettava che tutti facessero i salti di gioia  per lei. Katarina semplicemente non aveva né la voglia né il desiderio di partecipare alla serata organizzata dalla sua compagna di scuola, ma non aveva altra scelta.  
Anna, là in casa, aspettava impazientemente che tutti si riunissero. Sul suo viso era ben visibile l'angoscia che provava, un dettaglio che sicuramente non sarebbe passato inosservato dalla gente che la conosceva bene e non per niente si nascondeva nella camera di suoi genitori. Non poteva permettere che loro capiscano tutto e che provano di farla rimanere. Sentì le voci che provenivano dal salotto, il segnale che si erano riuniti gli ospiti che attendeva. Fece un respiro profondo. “Sì, Anna, forza. Ce la farai!” S’incoraggiò per ultima volta. Aprì la porta e con il passo sicuro si diresse verso il salotto.
“Ciao. Siete stati tutti gentili ad accettare il mio invito.” Sussurrò. “Vedo che, come al solito, alcuni sono in ritardo.” Sorrise disagiatamente.  In quel momento si sentì il campanello. Quando finalmente tutti erano arrivati, Anna si alzò e disse, per scherzo soltanto. “La parodia può iniziare.” I suoi ospiti non potevano sapere con quanta ironia e con quanta verità furono pronunciate quelle parole. E mentre lo sguardo di Anna saltava da una all'altra faccia amichevole, come se avesse voluto congelare per sempre nella memoria i visi di suoi amici più cari, nonostante avesse una gran voglia di piangere si calmò e iniziò, con tutta tranquillità, il discorso che stava preparando con tanta accuratezza sin dal giorno in cui aveva firmato il contratto.
La stavano ascoltando in silenzio che ogni tanto veniva interrotto da qualche sospiro di Srđan. Lei stava ancora là, accanto a lui, e più si avvicinava il giorno della sua partenza per Roma, più lui ne sentiva la mancanza. Non aveva dimenticato il suo comportamento strano degli ultimi tempi, la sua arroganza e  la sua prepotenza, e come poteva farlo? Nonostante tutto lui amava Anna e le perdonava ogni sciocchezza. Anche il viaggio a Roma era una sciocchezza, almeno lo sperava ma ciò non toglieva il fatto che era preoccupato. E mentre stava ascoltando le parole di sua ragazza, mentre lo teneva per la mano e lo fissava con quei suoi grandi occhi neri, non poteva fare altrimenti che chiedersi: che stava succedendo? Anna sembrava così strana, meglio dire innaturale, però come ogni ragazzo innamorato, fidandosi ciecamente della propria donna, si convinse che tutto andava per i meglio.
“Sapete anche voi quanto io tenga a questo lavoro e quanti sacrifici ho fatto per ottenerlo. Ricorderete quando eravamo bambini che vi facevo cambiare i vestiti dietro la scuola organizzando le prime sfilate?” Aveva preso Srđan per la mano e la stringeva teneramente mentre tornava nel passato con il suo racconto.
“Io anche volendo non lo potrei dimenticare.” Disse Srđan sorridendo. Aveva capito tutto e non solo le sue parole.
“Ho fatto un grande sbaglio, me ne rendo conto. Dovevo dirvi tutto invece di negare quando cominciarono a pubblicare quegli articoli. Ad essere sincera, non credevo fino all'ultimo momento che tutti i miei desideri si sarebbero realizzati.” Anna continuava con tanta euforia il suo discorso ben preparato. “Parto fra due giorni, anche se vi sembrerà strano, volevo salutarvi. È vero, torno fra dieci giorni, però mi mancherete tantissimo.” Concluse.
“Va bene. Non ti stai trasferendo in Italia, tornerai a Belgrado. Non vedo il perché di questa commedia!” Disse Katarina. Era arrabbiata e nauseata di tutta quella farsa che Anna, Katarina era sicura, aveva organizzato. Anna le fece una occhiataccia però non disse nulla. Non voleva che il loro litigio si protrasse inoltre.
“Certo che tornerà. Non può vivere senza di me la mia dolce metà.” Pensava che con le sue parole avrebbe eliminato la tensione che si era creata dopo lo scambio di battute con Katarina, ma si era sbagliato.
Non sapeva neanche lei perché ma Katarina sentiva tanta rabbia dentro di sé e non voleva lasciare in pace Anna.
“Tornerai, vero?” Le chiese Katarina con una voce tremante.
“Che razza di domanda è questa? Certo che tornerò.”
Katarina fece il cenno di no con la testa. “Davvero non ti capisco Anna. Ci stai ignorando da settimane. Non ti fai vedere a scuola. Io per caso scopro che la signorina sta per partire. Ti chiamo e tu che mi dici Anna? Dici che non è vero, che sono tutte delle malelingue. E adesso sembra che eri superstiziosa e che aspettavi il momento giusto per dircelo. Il momento giusto, due giorni prima della partenza! E d'improvviso, la signorina è diventata tenera e nostalgica e ha sentito l'impulso di salutarci anche se, apparentemente, torna fra dieci giorni!” Urlava Katarina furiosamente. Non l'avevano mai vista in quello stato. Non aveva mail alzato il tono della voce con nessuno.
“Katarina, ma che ti prende? Anna cercò di calmarla. Katarina aveva ragione ma non poteva permetterle di rovinare la serata.
“Non mi prende niente. Lasciatemi in pace tutti quanti. Buon viaggio Anna. Ti auguro tutto il bene del mondo. Spero che tu sappia quello che stai facendo.” Era arrabbiata con Anna però non la detestava, al contrario. Si erano abbracciate come se non ci dovessero vedere mai più. Come se Katarina sapesse il segreto di Anna. Mentre si erano guardate negli occhi per l'ultima volta, Katarina comprese tutto. Aveva capito quello che era sfuggito a loro amici. Anna se ne stava andando per sempre.


                                                   *

Il signore e la signora Gavrilović, insieme a loro figli, erano seduti nella sala d'attesa dell'aeroporto di Belgrado. Un po' nervosi e tanto felici stavano dando gli ultimi consigli alla loro figlia prediletta. Era la prima volta che la loro figlia viaggiava da sola in aereo, il che da un lato gli faceva stare un po' in ansia, ma dall'altro lato erano contenti e orgogliosi del suo successo. L'unico che non era contento per la partenza di Anna era il suo fratello maggiore. Marco era preoccupato per Anna. Era come se avesse un presentimento di quello che sarebbe successo però Anna era la sua sorellina, da quando era una bambina che Marco la chiamava così affettuosamente, e perciò aveva deciso di appoggiarla nonostante considerasse ancora una mossa sbagliata il suo viaggio a Roma.
Anna era melanconica. Sapeva che un giorno magari sarebbe tornata a casa, oppure no, non aveva ancora preso una decisione precisa al riguardo. C'erano dei momenti in cui malediceva il giorno in cui aveva incontrato Bogdan a Budva e poi firmato il contratto di un anno con gli Italiani. A volte Anna si pentiva per quello che aveva fatto, ma purtroppo non poteva tornare indietro. E quando la soave voce femminile aveva l'annunciato l'imbarco per i passeggeri del suo volo, Anna capì di aver fatto la scelta giusta. 
Srđan sentiva già la nostalgia di Anna, anche se sapeva che non sarebbero stati lontani per troppo tempo. L'aveva abbracciata forte mentre le diceva per l'ennesima volta “ti amo”. Anche lei gli aveva detto quel ti amo. Lui non lo sapeva, ma quello sarebbe stata l'ultima volta che lo avrebbe sentito dalla sua bocca. Il destino, almeno in quel momento, non era dalla loro parte.


Dopo tre giorni di pioggia, finalmente quello di là su ha cacciato via le lacrime e ha deciso di condividere con noi, popolo celeste, la sua felicità per aver giocato bene la sua ultima carta nella partita del POKER BALCANICO, suo gioco preferito in cui, come al solito, prende la posta. Bosnia, il suo JOKER, l'asso della manica, l'ultima carta del gioco, l'ultimo pezzo del puzzle bosniaco, ha fatto l'ingresso nella scena del crimine.  Il Risiko del vivo, il gioco preferito dei bambini politici che mi hanno rovinato la patria e non si fermeranno finché non avranno vinto la partita. Ogni giorno, ogni mese, la routine quotidiana, le scene che si ripetono. La mia privata zona della semioscurità dal quale non c'è una uscita. Mai ci sarà? Qualcuno ne ha la risposta? Maresciallo?? Maresciallo non ha delle risposte alle domande semplici, figuriamoci a una domanda complicata come la mia. Lui conosce soltanto i suoi traguardi che per fortuna non combaciano con i traguardi del popolo serbo il quale, anche se non lo fa vedere, è stufo della vita dignitosa offertaci dal regime di Maresciallo.
Se solo potessi, ma non mi è possibile, cambierei molte cose intorno a me. A volte ho impressione che non sono l'unica che ha perso la testa in questo caos, però sto dando del mio meglio per rimanere integra. È in questo stato d'animo che voglio rimanere qui, fino all'ultima vittoria, perché anche se volessi andarmene da questa giungla che pian piano lasciano tutti, non ho un posto dove nascondermi. Prima se n’è andato Dražen, poi Darko, adesso anche Anna se ne va. Pensa di ritornarci, ma si sbaglia. Chi se ne va per la prima volta, difficilmente decide di ritornarci. Come se avesse un posto dove tornarci. In molti se ne vanno con la speranza di trovare la felicità lontano dalla penisola balcanica. Se ne vanno proprio in tempo, prima di infettarsi con il virus balcanico. I deboli se ne vanno mentre quelli coraggiosi restano. Loro restano qui per combattere contro la quotidiana di questa città matta e di questo paese lunatico. L'unico che abbiamo.





[1]    Il quartiere di Belgrado.
[2]    Idem 

Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...