martedì 2 agosto 2011

Il virus balcanico - sesto capitolo

Il sole splendeva forte. Era una bellissima giornata primaverile che avesse fatto uscire da casa molti cittadini belgradesi. Lungo la via Knez Mihajlova passeggiavano le giovani coppie con i bambini. Ogni tanto qualche madre alzava la voce per chiamare proprio figlio che correva di qua e di là. Tra i passanti si potevano vedere le bellissime ragazze che non vedevano l’ora di mettere dei vestitini che più scoprivano che coprivano. Era la giornata ideale per realizzare quello che aveva in mente da quando aveva rotto con Katarina. Sperava soltanto che lei accettasse di ascoltare quello che aveva da dirle. Dovevano almeno chiarirsi dopo che avevano avuto l’ennesimo litigio la sera prima. La colpa era unicamente di Maksim. Era riuscito a farla soffrire di nuovo, non era la prima volta ma almeno in passato era pronta a perdonargli. Questa volta era diverso. Lui aveva oltrepassato il limite acconsentito e lei ha detto basta. Era stufa di tutto, delle bugie che lui le raccontava, dei suoi tanti tradimenti. Come poteva biasimarla? Aveva fatto troppi errori ma non aveva imparato niente da essi. Questa volta però era deciso di cambiare per l’amore di Katarina ma soprattutto per l’amor proprio.
“Cosa vuoi da me Maksim? Non abbiamo nulla da dirci. È finita! Capisci? Finita!” Maksim non poteva crederci. Non poteva farlo. Doveva almeno dargli l’opportunità per spiegarle come realmente stavano le cose.
“Katarina, per favore ascoltami. Solo quello ti chiedo.” Tutto il suo sforzo era invano. Non voleva sentirlo. Era ferita talmente tanto che non voleva dargli nemmeno una possibilità. Ormai aveva deciso di lasciarlo.
“Allora, siamo arrivati al capolinea?” Le chiese tristemente.
“Sembra di sì.” Disse lei. Non aveva nemmeno il coraggio per guardarlo negli occhi. Aveva paura di potergli perdonare per l’ennesima volta ma doveva resistere alla tentazione.  Finalmente ha avuto la forza per mettere la parola fine alla loro tormentata storia d’amore. Mancava però poco che si alzasse e che lo abbracciasse ma non lo fece nonostante stesse soffrendo. E non era l’unica che pativa le penne d’inferno.
Anche Maksim stava soffrendo ma lei non se ne sarebbe mai accorta. Pure lui stava soffrendo ed era sinceramente pentito. Mentre saliva sul tram diede l’ultima occhiata in direzione in cui si dirigeva Katarina. Era come se avesse la sensazione che non l’avrebbe mai più rivista.

I due innamorati erano seduti in un bar e bevevano il caffè in silenzio, ognuno con i propri pensieri. Tijana non sapeva come dire a suo ragazzo la novità che ben presto sarebbe diventata madre. Lei stessa faticava molto ad abituarsi all’idea. Dopo tutte quelle brutte notizie dell’ultimo anno finalmente era arrivata una novità per la quale valeva la pena piangere però dalla gioia questa volta. Dopo una morte nasceva una vita dentro di lei. Era un dono del cielo, le disse suo fratello Saša quando la mattina stessa, dopo che era tornata dalla clinica, gli aveva raccontato della gravidanza. Non aveva minimamente pensato di consigliarla di abortire, nonostante la sua giovane età. Le ha soltanto detto che avrebbe accettato qualunque decisione lei prendesse, ma prima ne doveva parlare con Miloš. Era proprio quello che Tijana stava per fare.
Miloš osservava attentamente e di nascosto la sua ragazza seduta di fronte a lui.  Aveva capito che qualcosa non andava e che Tijana stava cercando dentro di sé il coraggio per dirgli di cosa si trattava.
“Che sta succedendo Tijana?”
Lei cercò di sorridere.
“Ho una notizia per te. Non so come la prenderai, ma ho l’obbligo morale di informarti. Sono incinta Miloš.”
Miloš stava diventando rosso dall’emozione. Non sapeva come avrebbe potuto descrivere al meglio il sentimento che trovava la strada dentro di lui. Una parte del suo essere era confusa mentre l’altra era felice e lo spingeva tra le braccia di Tijana. Aveva una gran voglia di abbracciarla.
“Per favore Miloš, dì qualcosa.” Sorrise impacciante. Aveva paura che Miloš decidesse di lasciarla e che farebbe in tal caso?
“Beh, diciamo che le parole mi sono rimaste in gola. Non aspettavo una cosa del genere.” Era ancora un po’ confuso e frastornato, però era un ragazzo per bene, educato e con una coscienza che lo portava a prendere sempre delle decisioni giuste.  “Però credo che dobbiamo festeggiare, che ne dici?”
Lei si alzò dalla sedia e andò da lui. “Dici sul serio?” La paura non l’aveva ancora abbandonata.
Lui sorrise e l’abbracciò. Sentiva il tremore del suo corpo e la strinse fortemente a sé per tranquillizzarla. “Certo che dico sul serio. Solo…”
“Sì?” Chiese Tijana ancora non poco impaurita.
“Dovrai fare parte della famiglia Rakić. Credi che la famiglia Đurić sarà d’accordo?”
“Mi stai chiedendo di sposarti?”
“Certo. Cos’è, non ti piace la maniera in cui te l’ho chiesto? Non sono stato abbastanza romantico? Dovrei mettermi in ginocchio?” Scherzò Miloš mentre guardava la sua fidanzata mettersi a piangere. Si stava rilassando e sembrava che quelle fossero delle lacrime di gioia.
“No, cioè sì. Sì, lo voglio. Sarò felice di far parte della famiglia Rakić.” Era felice però allo stesso tempo anche un po’ preoccupata. Sul suo viso d’improvviso apparve un ombra di dubbio.
“Non lo fai perché ora c’è il bambino?” Domandò Tijana.
“Cosa? Ma come ti viene in mente una cosa del genere? Ora stai cercando una scusa per rifiutare la mia proposta! Non vale!” Lui finse di essere arrabbiato.
Doveva però ammettere che la domanda di Tijana era piuttosto sensata. La verità è che lui non voleva commettere gli stessi errori di suo padre. Non gli aveva nemmeno dato l’occasione per conoscerlo. Ci aveva rinunciato ancora prima che Miloš nascesse. Lui sì che sapeva cosa vuol dire crescere senza un padre e non voleva che la stessa sorte toccasse suo figlio. I bambini non chiedono di essere nati ma sono il frutto dell’amore ed era proprio quell’affetto forte che lo legava a Tijana da anni. L’amore e il rispetto erano dei valori morali importantissimi che Miloš aveva scoperto grazie a sua madre e lui, da quei valori, aveva fatto lo stile di vita. 
“Ti ho chiesto qualcosa. Il matrimonio non è un gioco, è una cosa molto seria. Crescere un figlio porta delle responsabilità, ne sei consapevole. Non voglio che tu ti legassi a me, a noi, soltanto perché vorresti correggere degli errori di tuo padre, essere migliore di lui.” Lo conosceva bene. Lo amava però doveva schiacciare dei dubbi che l’assillavano perché non voleva che un giorno si ripetesse la storia.


“Buongiorno signora Zorić.” Un giovane in uniforme militare che teneva una busta tra le mani salutò la signora che gli aveva aperto la porta. Si trattava delle terza famiglia belgradese in quella mattinata a cui portava delle notizie non proprio buone e purtroppo non era l’ultima.
“Prego giovanotto. Entri pure.” Gli rispose la signora. Era una donna alta, con i capelli lunghi lisci e grigi, e sul suo viso era molto trasparente l’angoscia che provava a causa della sua visita. Non vedeva l’ora che lui se ne andasse e che rimanesse da sola. Non poteva certo biasimarla.
“Grazie.”
Per fortuna, se davvero si trattava di essa, le notizie non erano proprio pessime. Ivan era leggermente ferito, almeno così era scritto nella lettera del ministero, e stava tornando a casa. Suo figlio stava tornando a casa. Quanto era felice per la notizia, tanto le dispiaceva pensando a tutte quelle madri che avevano perso i loro figli in quell’assurda guerra civile ancora in atto. Suo figlio Ivan stava per tornare ma lei era ancora incredula. Era passato un anno da quando non sapeva nulla di lui. Dio solo sapeva quante preghiere aveva detto chiedendolo di salvaguardarlo e ora, finalmente, aveva ricevuto una sua lettera. A dire la verità, non l’aveva scritto proprio lui di suo pugno, ma era il segno che lei attendeva. Si fece il segno della croce per ringraziare il cielo per averle ridato la speranza, mise la busta sulla tavola da cucina e uscì dalla stanza per andare  a cercare sua figlia.
“Ivana, vieni qui!” Doveva al più presto condividere con qualcuno la sua felicità


Si sta avvicinando il giorno che aspettavo da tempo, che sognavo in ogni suo dettaglio, ma ormai il sogno ha poche possibilità per diventare realtà. Anche quest’anno scolastico ho terminato con ottimi voti e questo di sicuro mi sarà di buon auspicio per la scelta dell’università. Sono quasi arrivati al termine gli esami di maturità che da un lato fanno paura ma dall’altro canto rappresentano l’inizio di un’epoca nuova della vita, un’epoca importante e decisamente felice. A me gli esami di maturità non fanno né freddo né caldo, anzi, mi rattristano molto. Sì, sono triste e niente può farmi stare meglio, nemmeno l’allegria delle mie migliori amiche. Le sto ascoltando mentre chiacchierano spensieratamente di quello che ci attende, delle scelte da prendere però i miei pensieri volano lontano verso coloro che non ci sono più e che mi facevano sentire felice e completa. Come non pensare a loro in questo momento così triste e di una grande nostalgia quando sono proprio loro quel tassello mancante alla mia felicità. Mi mancano. Mi manca quel codardo di Dražen che se n’è andato  un anno fa e che ora starà facendo gli esami di maturità nel paese nemico ovvero in Croazia. Mi manca Darko. Se non ci fosse stato per quel cretino di Arkan e i suoi simili che combattono in questa guerra assurda, mio fratello ora sarebbe qui, insieme a me e insieme agli amici di sempre. Ora avremmo potuto festeggiare la maturità insieme ma purtroppo non è così. Non posso, però, piangere in questo momento allegro. Non lo vorrei nemmeno, ma i miei occhi non mi obbediscono. Mi sento tradita dall’emozione e cerco, invano, a mandare via le lacrime che ora mi stanno bagnando il viso.  Sono delle lacrime di gioia, della fede e della speranza che non muore mai.
“Se non prendiamo in considerazione i desideri di mia madre, e non lo faremmo, credo che alla fine proverò ad iscrivermi alla facoltà di Medicina. Che ne dite ragazze?” Disse Katarina con convinzione. Era talmente presa da se stessa che non si era nemmeno accorta che Sonia stesse piangendo.
Sonia asciugò il viso con una mano e si girò di scatto verso Katarina. Era confusa e di certo non era l’unica. Insieme a Tijana guardò l’amica ancora incredula. Tutte e tre si erano riunite in quel bar nelle vicinanze del liceo che per loro era come una seconda casa, dove si incontravano ogni mercoledì dal giorno in cui avevano iniziato a studiare insieme per gli esami di maturità. Stavano bevendo il caffè chiacchierando del più e del meno anche se l’argomento principale, viste le circostanze, era la scelta universitaria che le ragazze dovevano prendere. Si trattava delle decisioni importanti dalle quali dipendeva il loro futuro professionale.
“Tu vorresti iscriverti alla facoltà di Medicina? Dici sul serio o ci stai prendendo in giro?” Chiese Sonia. Era confusa ma più che altro scettica, proprio come lo era Tijana che stava già facendo le facce.
“Sono seria come non lo sono mai stata.” Rispose Katarina. La decisione che aveva preso la notte scorsa era il suo primo passo intelligente dopo la rottura con quello cui nome voleva dimenticare al più presto possibile ed era orgogliosa di sé stessa.
“Ma scusa, non ha sempre detto che non vorresti seguire le orme di tuo padre? Per questo avevi scelto il liceo linguistico e non scientifico o infermieristica. Perché di questo cambiamento ora?” Tijana si meravigliò. Non capiva. Pensava che conoscesse bene una delle sue migliori amiche dopo tutti quegli anni di frequentazione ma evidentemente si sbagliava.
Perché aveva cambiato l’idea? Neanche lei lo sapeva. A dire la verità, voleva contraddire sua madre, la professoressa di biologia al loro liceo, che voleva che Katarina diventasse una biologa. Né voleva seguire le orme del padre che era un chirurgo di fama che lavorava all’ospedale militare. Katarina voleva allontanarsi dal suo ex, per sempre. Ecco perché aveva preso quella decisione.
“Ho rotto con Maksim. Questa volta è davvero finita. Così ho deciso di iscrivermi a medicina.” Finalmente aveva avuto il coraggio a confessare la verità. Era giunto il momento di ammettere a sé stessa e agli altri di aver sbagliato e, cosa più importante, di essersi pentita per non aver dato retta a loro tanto tempo prima. Per fortuna, non è mai tardi per aprire gli occhi.
Non tanto lontano dalle ragazze, nel parco di Tašmajdan, due amici si erano incontrati per discutere delle cose altrettanto importanti. Maksim era molto nervoso e le occhiate interrogative che gli lanciava suo migliore amico non lo aiutavano a rilassarsi.
“Cosa vuol dire che è finita con Katarina?” Nicola pensava di non aver sentito bene le parole pronunciate da Maksim.
“Vuol dire che è finita Nicola. Mi ha lasciato. Questa volta non vuole dimenticare e tantomeno perdonarmi. È finita.” Maksim era disperato anche se cercava, invano, di nascondere il suo reale stato d’animo. Non era per nulla contento della rottura definitiva con Katarina.
“Hai provato a darle spiegazioni?” Domandò il suo migliore amico.
“Non ha voluto nemmeno ascoltarmi. Te l’ho detto, ha rotto con me. Già, non è la prima volta. Mi aveva lasciato tante volte, lo sai anche tu, ma è sempre tornata sui suoi passi. Purtroppo, questa volta è diverso. Lei ha preso una decisione, una decisione importante, e non tornerà indietro. Come biasimarla? E anch’io ho preso una decisione, seguirò le orme di Anna.”
“Non capisco. Cosa c’entra Anna con te e con la tua decisione?” Nicola era stupito. Conosceva bene Maksim. Non era una persona irrazionale, al contrario. Non prendeva mai delle decisioni affrettate senza pensarci prima a lungo.
Maksim sapeva che Nicola non l’avrebbe capito. Di sicuro pensava che fosse al minimo pazzo. La decisione che aveva preso, di continuare i propri studi nella confinante Ungheria, scoppierà come una vera bomba tra gli amici, non aveva dubbi. Maksim però non poteva tornare indietro, né lo voleva.
“C’entra Anna in quanto non sarà l’unica d’aver lasciato il paese.”
“Aspetta, fammi capire. Tu lasci la città? Vai via da Belgrado? È uno scherzo, vero? Sì, di sicuro lo è.” Nicola era sbalordito. Di sicuro Maksim scherzava. Era soltanto uno scherzo di pessimo gusto, ne era sicuro.
“Nessun scherzo. Sono serio, serissimo.”
Ed era serio. Aveva capito, forse tardi, quello che aveva fatto non solo a lei, a tutte le ragazze con cui stava. Tutte loro erano soltanto dei giocattoli che lasciava appena si stufava.  Pensava che sarebbe andata così anche con Katarina. Era bella, però non era la sua bellezza che lo aveva attratto. Era diversa da tutte le altre. A prima vista tranquilla e introversa però aveva il carattere forte. Quando decideva qualcosa difficilmente tornava sui suoi passi. Finché un giorno non si era reso conto che lei era cotta di lui e che poteva raggirarla come voleva. E lei, lei sopportava tutto. Maksim aveva sempre una scusa pronta, una giustificazione per ogni bugia detta e lei beveva tutto. Credeva a ogni sua bufala  anche se le amiche hanno fatto di tutto per aprirle gli occhi. Non valevano un granché degli avvertimenti che riceveva ogni volta che qualcuno incontrava Maksim in compagnia di altre ragazze. Katarina gli credeva, anzi, perdonava tutto però a tutto c’era un limite oltre cui lei non sarebbe andata. Così aveva deciso di lasciarlo. Maksim non poteva certo arrabbiarsi con lei, era pienamente colpevole per la loro rottura, e aveva accettato la sua decisione senza combattere. Inoltre, non poteva più starle accanto. Chiunque dicesse che dopo la fine di una storia d’amore era possibile diventare amici si sbagliava di grosso. Maksim almeno non credeva in quelle teorie della cosiddetta psicologia moderna. Katarina non poteva essere una sua amica, né lui poteva essere un amico per lei. Punto e basta. E ora non aveva più senso iscriversi alla facoltà di Economia per starle accanto. Era un loro sogno che non poteva realizzare da solo. Per questo aveva deciso di partire. Più lontano andrà, più veloce si scorderà di lei.
“Continuerò gli studi all’estero.”
L’Ungheria non era proprio all’estero, cioè almeno non in termini di lontananza in quanto era quasi dietro all’angolo. Sua zia viveva a Budapest e da qualche tempo cercava di convincerlo di andarla a trovare e forse, se gli andava, di continuare con gli studi là. All’inizio gli sembrava un’idea folle, le aveva persino detto che non avrebbe mai lasciato la Serbia, ma questo succedette un paio di mesi prima. Ora il quadro era leggermente cambiato e poteva finalmente dire di sì. Dalla morte di suo nonno materno che sua zia non aveva messo piede a Belgrado e Maksim sentiva la sua mancanza. Finalmente aveva l’opportunità di passare del tempo con lei e con quella pazzerella di sua cugina Maja.
“Scusa, ma sono sorpreso assai della tua decisione. Lo stai facendo a causa di Katarina?”
Maksim e Nicola erano miglior amici dai tempi dell’asilo e dopo tutti quegli anni di frequentazione, Nicola pensava di conoscerlo come conosceva se stesso. Si era reso conto da subito, molto prima che Maksim lo facesse, che in realtà lui amasse molto sua ex-ragazza solo che gli costava tanto ammetterlo. Maksim era sempre stato uno spirito libero, il tipico sagittario secondo gli amici e i familiari che non perdevano l’occasione per prenderlo in giro, e non si fermava mai. Nicola sapeva tutto. Conosceva ogni sua ragazza e ce n’erano tante ma nessuna era riuscita di tenerlo legato a sé. Pensava che almeno Katarina sarebbe stata in grado di compiere il miracolo, però nonostante lo amasse tantissimo, non poteva perdonargli a lungo. Molti loro amici pensavano che a Maksim piacesse quella vita, soprattutto il ruolo di dongiovanni, però Nicola sapeva che si trattava soltanto di una maschera ben costruita e che in fondo anche lui aveva un cuore e di sicuro si pentiva per tutto il male che aveva causato a Katarina. Certo, non avrebbe mai immaginato che Maksim avrebbe avuto il coraggio di ammettere i suoi veri sentimenti e per la prima volta Nicola lo vide piangere.
“Si, lo sto facendo per Katarina, ma anche per me stesso. So che ti sembrerà strano, e che forse non mi crederai, però non c’è più niente che mi leghi a Belgrado.” Ovviamente, Maksim non poteva e perché mai avrebbe nascosto la verità. Poi, oltre ai problemi con Katarina, c’era un’altra faccenda che non poteva ignorare: la paura che potessero mandarlo in guerra. Non lo avrebbe mai ammesso a Nicola perché non voleva che lui pensasse che era un codardo. Erano degli amici ma non per questo doveva raccontargli proprio tutto.
“E dove vai, se non è un segreto?” Nicola era curioso.
“Lo saprai a tempo debito, te lo prometto.” Presto, molto prima che Nicola potesse immaginare.


                                              *

Timido come era, si è avvicinato alla ragazza che gli piaceva da morire e le aveva chiesto di uscire con lui a mangiare un pezzo di torta e di bere una limonata nella pasticceria del quartiere. Aveva pensato a lungo se chiederglielo o no, però alla fine si è armato da coraggio e ha fatto il primo passo. Era appena terminata la lezione di ballo folcloristico e Maria, la ragazza in questione, stava per andare a casa. Poteva dirgli di no, pensò Bojan mentre le andava incontro, però non voleva essere pessimista prima di sentire la sua risposta. Maria stava sorridendo come al solito e questo gli dava la speranza.
“Non sapevo che ti piacessero i dolci.” Scherzò lei dopo che lui aveva espresso il suo desiderio e giunse. “E se non sbaglio, sei a dieta.”
Non voleva subito accettare il suo invito. Lo conosceva poco. Bojan era diventato membro del loro corpo di ballo tardi, e anche se all’inizio non aveva mostrato le sue doti folcloristiche, era migliorato molto nelle ultime settimane. Capitava che si mettessero a chiacchierare nelle pause tra una lezione e l’altra, ma il loro rapporto si basava solo su quello. O meglio, non proprio su quello. A volte succedeva che si incontrassero in ascensore nel palazzo in cui Maria abitava, in cui entrambi abitavano ma lei non lo sapeva e di conseguenza si chiedeva cosa ci faceva lui là. Ultimamente, poi, le capitava di incontrarlo  spesso. Era come se lui sapesse dove e quando trovarla, ed era sempre lì, nelle sue vicinanze. Doveva però ammettere che era discreto, quasi invisibile, come una specie di ombra umana che la seguiva e non le dispiaceva poi così tanto.
“Io sarei a dieta? Sei informata male.” Replicò Bojan sorridendo. “Non vedo nulla di sbagliato nell’invitarti a uscire con me. Se non vuoi, basta dirlo. Non mi offendo.”
Maria sorrise. Era ancora più bella quando sorrideva. Bojan moriva dal desiderio di stare con lei, anche a costo di essere soltanto un suo amico e niente di più, però non era proprio ciò che voleva realmente. Lei stava in silenzio e per lui questo era un chiaro segno che non volesse dirgli di sì. Non gli piaceva essere rifiutato, per niente. Uscì dalla sala senza nemmeno salutarla,  arrabbiato e nervoso come un bambino che non ha ricevuto il giocatolo desiderato.
Maria lo guardava mentre si allontanava e non riusciva a smettere di ridere. Era evidente che il comportamento infantile di Bojan divertisse la sua vicina di casa, anche se lei non lo sapeva.  Dopotutto, si trattava di un ragazzo con cui avrebbe dovuto approfondire la conoscenza ora che aveva quest’opportunità. Da quando l’esercito aveva trasferito suo padre nella capitale serba erano passati ormai due mesi però Maria si sentiva ancora come un’estranea nella grande città a cui non riusciva ad abituarsi. Faceva fatica a trovare degli amici, visto che, per colpa del lavoro di suo padre, cambiavano spesso città. Dalla sua nascita, fino a quando si erano trasferiti a Belgrado, avevano vissuto in molte città dello stato jugoslavo che non esisteva più. Maria odiava tutti questi traslochi, detestava il fatto di essere la figlia di un militare, però non poteva cambiare né propria residenza, né propri genitori, almeno finché non sarebbe stata maggiorenne. Una cosa però poteva fare, poteva scegliere gli amici. Suoi genitori le avevano promesso che non avrebbero traslocato più, che si sarebbero fermati a Belgrado per sempre, però Maria non ci credeva. Le avevano detto la stessa cosa dopo che avevano traslocato da Mostar a Skopje, e poi fu la volta di trasferimento da Skopje a Niš. Infine vennero a Kraljevo dove rimasero più a lungo, forse perché la mamma di Maria finalmente era vicina alla sua città natale. A Kraljevo Maria ebbe la possibilità di continuare a ballare ed era molto triste quando dovette lasciare la compagnia. Per fortuna, Belgrado non era alla fine del mondo e poteva andare a trovare i nonni spesso, a differenza di quando vivevano a Spalato, Capodistria, Mostar e Skopje. Forse questa volta i suoi genitori manterranno la loro promessa perché, tutto sommato, non era poi così male vivere a Belgrado. O forse sì. Si vedrà col tempo.


Erano passati più di sei mesi da quando il postino aveva recapitato a Saša la convocazione da parte dell’esercito per la mobilitazione militare alla quale non aveva mai risposto. Era sufficiente soltanto una telefonata di sua madre che il suo nome fosse cancellato dalla lista dei fortunati prescelti, che Saša diventasse un uomo libero. Il suo nome era stato cancellato dalla fatidica lista ma questo purtroppo non era il caso di molti suoi amici, compreso il suo miglior amico Ivan che era ferito e che per fortuna stava per tornare a casa. Saša non aveva chiesto nessuna clemenza, né voleva essere trattato con i guanti soltanto perché era figlio di un ex-ambasciatore.  Non aveva chiesto nessun favore, però lo aveva fatto sua madre Dragana al posto suo. La sua amicizia con il nuovo ministro della pubblica istruzione Jovan Nikolić, il famoso esponente del partito socialista, era il mezzo tramite il quale era riuscita a raggiungere il suo scopo. L’ultima cosa che Aleksandar voleva era essere in debito con una persona così meschina come lo era quell’individuo, che non  piaceva né a lui, né a sua sorella Tijana, però dovevano per forza sopportarlo.
In città, nel frattempo, cominciarono a girare delle voci. La gente spettegolava sulla relazione amorosa tra il suddetto ministro e la rappresentante della compagnia di bandiera “JAT” Dragana Mančić-Đurić, per l’appunto sua madre. L’argomento principale era che il figlio della signora in questione camminava liberamente per le vie della città mentre i figli della gente qualunque combattevano per la patria sul fronte. Però come succede spesso nel paese dei balocchi, in altre parole in Serbia, tutto era presto passato nel dimenticatoio. Il popolo poteva permettersi di dimenticare, Saša però non poteva farlo. Gli importava poco delle chiacchiere altrui che riguardavano sua madre e quel tipo cui nome non voleva pronunciare. Non voleva essere preso per un codardo, anche se sin dall’inizio era contrario alla stupida guerra e al fatto che i ragazzi della sua età dovevano combattere in difesa dei territori altrui che non appartenevano allo stato in cui viveva. Alla fine, dopo aver riflettuto a lungo, capì che tutto ciò contava davvero poco, quello cui dava peso invece erano i consigli e le opinioni dei suoi familiari e degli amici più stretti. 


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