mercoledì 30 maggio 2012

Il dolore non conosce i colori

Caro diario,

La terra ha continuato di tremare. Un'altra forte scossa, di 5.8 ha colpito di nuovo Emilia -Romagna ieri mattina alle 9. L'abbiamo avvertita eccome anche noi nel Trentino. Non ero sola, per fortuna. C'era papà a casa. Insolito per un martedì, è vero. Non è in vacanza, no. E' in cassa integrazione, per l'ennesima volta ma per la prima volta non mi dispiace. Saper di poter contare su di lui, su quell'abbraccio che ci siamo dati ieri mattina, significa tanto per me. Sarò esagerata, impaurita per così poco, ma è sempre una sensazione sgradevole, provata per ben due volte ieri, nella mattinata e nel pomeriggio. Non oso immaginare quello che hanno provato gli Emiliani e ogni mio pensiero va a loro. Loro che dal 20 maggio stanno vivendo un incubo, costretti ad abbandonare le proprie case danneggiate e installarsi nelle tendotopoli.

Loro che vivono costantemente con la paura, con le continue scosse che non si  placcano purtroppo. Gli Emiliani doc e quelli che lo sono diventati seppur non nati lì, gli stranieri che da anni  vivono in quella regione che gli ha offerto l'opportunità di avere un futuro migliore di quello che avevano nel loro paese. Alcuni di loro, lavoratori onesti, hanno perso la vita in quelli capannoni in cui sono rientrati forse troppo presto.  Gli uni e gli altri stanno passando lo stesso inferno, provano le stesse emozioni, lo stesso dolore. Dovrebbero essere uniti e invece, per l'ignoranza o per chi sa che cosa, sono divisi.

Cavezzo, il piccolo centro situato in provincia di Modena, è completamente distrutto. Il 70 % dei palazzi non ci sono più. E' una città ferita ma soprattutto divisa. Da una parte italiani, dall'altra stranieri, detesto la parola extracomunitari lo ammetto, divisi da un muro inesistente dell'ignoranza. "Rubano", dicono gli abitanti, almeno così riporta il giornalista de "L'inkiesta" Marco Sarti, e per questo sono state allestite diverse tende. Gli italiani sono alla cooperativa "Giardino", mentre gli stranieri, l'autore parla anche dei meridionali, si sono installati in piazza Fratelli Cervi, nella periferia della città.

Leggendo il suo articolo oggi  sono stata assalita dalla rabbia e dalla nausea. Più lo leggevo, cercando di cogliere qualche sfumatura, più mi veniva da vomitare. Ma in che mondo viviamo? Io ho vissuto per un anno a Forlì, conosco gli emiliani come gente per bene e non posso credere che si possa arrivare a tanto. In una situazione del genere, però, scattano certi meccanismi che non riesco a capire. Il dolore dovrebbe unire non separare la gente. Il dolore non conosce i colori, le razze, le lingue. Restiamo uniti. Siamo tutti i figli dello stesso Dio, chiamato diversamente ma è sempre lui. Almeno l'ho sempre pensato così. Forza e coraggio Emiliani, di nascita e d'adozione, con la speranza che presto si tornerà alla normalità.

Un abbraccio, il mio cuore è con voi. 

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