mercoledì 17 novembre 2010

C’era una volta una bambina che sognava il mondo e l’ha trovato!


 

Caro diario,

Sto ascoltando una musica soave che mi sta avvolgendo nel suo abbraccio tenero e mi fa partire, tornare dietro nel tempo. Come se mi stesse invitando a chiudere gli occhi e lasciarmi andare, a rilassarmi. Potrei facilmente addormentarmi, mettermi a sognare quei tempi magnifici ormai andatisi in quel posto nel fondo del cuore dove custodisco gelosamente i miei ricordi. Mi sento al sicuro, coccolata da quei sentimenti provati una volta, da quella felicità provata in certe occasioni e mai più ritrovata. Mi sento a mio agio, tranquilla, è come se quel viaggio indietro nel tempo mi stesse aspettando per farmi ritrovare il sorriso perduto in questi ultimi mesi tanto duri che ora vorrei dimenticare, lasciare alle spalle per non riscoprirli mai più. Un viaggio è sempre una partenza, un nuovo inizio. Un viaggio che potrà ricordarmi di quello che ero prima di perdermi per le viuzze della vita, quelle stradine strette, strette che non ti fanno trovare la strada verso casa, verso quell'oasi della felicità, dell'amore, della famiglia e dell'amicizia. Non posso fare altrimenti che lasciarmi andare, partire per ritrovare me stessa e quella ragazza spensierata che ho fatto uccidere in questi ultimi mesi, anni. Uno, due, tre..il fischio! Il treno dei ricordi sta per partire e mi porterà via con sé.

Da sempre ero affascinata dai viaggi, dai luoghi lontani che volevo visitare un giorno. Dicevano che sembrava che stessi nata in una macchina. Ogni volta che partivamo io ero felice. Non contava il posto dove andavamo, né il perché di quei viaggi lunghi o brevi, bastava muoversi. Mi accontentavo di vedere dei paesaggi dalla finestra, a vedere i segnali stradali che mi affascinavano, volevo sempre sapere il loro significato, come se già a quegli anni volessi prendere la patente! Ignoravo che quei viaggi mi portavano in qualche ospedale, o da qualche guaritore che avrebbe potuto farmi camminare di nuovo. Non ero cosciente allora di essere una bambina diversa, una bambina chiacchierona e troppo curiosa, però sempre una bambina diversa che non poteva camminare. Una bambina che non si rendeva conto della sofferenza che portava dentro, dell'odio sfrenato che provava per gli ospedali in cui era stata per la maggior parte della sua infanzia e per quella città bianca in cui doveva stare per forza. Una bambina che si sentiva tanto sola nella città nella quale era nata, che piangeva di nascosto per le prese in giro degli altri bambini che la vedevano strana perché camminava male, quando finalmente iniziò a fare i primi passi da sola all'età di 4 anni. Una bambina che amava i libri che erano il suo mondo, la sua vita, la sua felicità. Una bambina che nello scrivere aveva scoperto un piacere immenso, che era felice quando vinceva i primi premi alla scuola media, una bambina che non conosceva la felicità. Una bambina che quando era piccola aveva perso il fratellino, quel bimbo mai nato che lei sognava di chiamare Marco e che è anche oggi, quando la bambina è una donna adulta, il suo angelo custode che la protegge da lassù. Ignoravo molte cose su di me perché così era più facile, isolarsi da tutto e da tutti, pensando che quel mondo era giusto per me. Un mondo fatto di silenzi, di parole scritte, delle domande che non avevano risposte precise. O forse non avevo alcuna voglia di trovarle. Un mondo fatto da sogni, da viaggi che avrei fatto un giorno, dalle lingue che avrei imparato. Un mondo che era dentro di me e anche fuori, un giorno l'avrei toccato con le mie dita.

Quando avevo 15 anni, per la prima volta ebbi il coraggio di dire basta, di fermare le paure che si erano insediate dentro di me, di partire nonostante il parere contrario di mia madre che da sempre mi aveva hyper protetto. Mi trasferii a Sremski Karlovci, vicino a Novi Sad, dove feci il liceo linguistico. Là, il mio mondo si era aperto per la prima volta. Era come se avessi scoperto una dimensione diversa della vita. Tutto quello che nella mia città natale mi bloccava, là spariva, come per magia. I ragazzi della classe che frequentavo, mi avevano presa come una di loro, non mi avevano mai fatto capire che sapevano della mia "diversità". Io ero una ragazzina chiusa, che fino a quel punto viveva in un mondo tutto suo, diffidandosi di tutto e di tutti. Qualcosa iniziò a cambiare già allora. Ero circondata per la prima volta dagli amici veri che mi accettavano per quella che ero, e questo non era poco. Lì avevo conosciuto le mie ragazze, Ljilja, Katarina, Lela e Ceca, che ancor oggi sono le mie più care amiche senza le quali la mia vita davvero non avrebbe il significato che oggi ha. Mi hanno insegnato a volermi bene, a credere in me stessa, e che sogni si possono realizzare. Non mi hanno abbandonato neanche quando avevo preso la decisione di continuare gli studi all'estero. Mentre molti mi credevano pazza perché andavo a fare l'università in Italia, da dove nel '99 il nostro Paese fu bombardato, loro mi hanno dato tutto l'appoggio necessario. A volte mi capita di rileggere le vecchie lettere che mi scrivevano, e mi commuovo. Mi ricordo come ero prima di quel periodo liceale, prima che la vita me le aveva messe sulla strada, e mi spavento perché quella ragazzina io la odiavo e non vorrei mai ritrovarla. Mi sorrido perché quelle liceali, che mi scrivevano quelle lettere piene d'amore, tutt'ora sono accanto a me, anche se non viviamo nello stesso paese e ci vediamo raramente. Loro mi hanno cambiata, amata e appoggiata sempre, e non è sufficiente una vita intera per dire a loro quanto io sia grata per tutto.

Dopo il liceo, ho iniziato il mio viaggio verso quel mondo tanto desiderato e sognato. Mi sono trasferita in Italia, in una città che oggi per me è una vera casa, che è Trento. Ci ho vissuto poco però, almeno fino a due anni fa, perché studiavo in un'altra città: Gorizia, prima, e poi a Forlì dove feci il master. Mi ricordo il primo giorno come se fosse ieri. Ero arrivata con una ferita al piede, mi ero operata a Belgrado quando avevo 12 anni, e stavo tanto male che ero quasi svenuta. Mi ricordo una voce femminile che mi offriva una caramella che rifiutai. Ero terrorizzata perché non conoscevo nessuno, ma piano piano, le cose sono cambiate. Durante quegli anni avevo conosciuto tante persone e ognuna di loro mi aveva dato qualcosa. Mi hanno dato tante di quelle emozioni che non dimenticherò mai. Là, in quel convitto in cui stavo, ho conosciuto delle ragazze straordinarie come Fabiola, Clara e Alessandra, che porto sempre nel cuore. Tra quei banchi dell'aula ho lasciato i miei pensieri, i miei ricordi, me stessa, i primi scritti del mio libro. Tra le mura di una casa dello studente in via Mazzini sono rimaste le risate di Zsuzsanna, le chiacchiere che facevo con Piermario, il mio più caro amico e una specie di fratello che a volte mi controllava come ero vestita prima di uscire e con il quale spesso litigavo su chi avrebbe pagato il caffè nel bar di Gedhaffi (almeno gli somigliava). In quella città sul confine con la Slovenia sono rimaste tante emozioni, troppo ricordi, belli o brutti, ma sempre ricordi. Ricordi di un periodo che mi ha reso una persona migliore, quella che in questi ultimi anni di miei problemi di salute avevo dimenticato e quasi ucciso isolandola dal resto del mondo. Però ora è arrivato il momento di svegliare quella bimba, di farla ricordare quanto la vita sia bella anche quando tutto sembra nero, che ci sono opportunità che non vanno perse per nulla al mondo. Di farla capire che le paure con le quali di nuovo aveva costruito un castello in cui si sta nascondendo devono cessare di esistere. La vita è troppo bella per essere persa in chiacchiere inutili, in depressioni createsi dal nulla. La vita bisogna viverla, cara bimba mia!

E in un tratto mi svegliai e capii. La bimba non c'è più, quella bimba che sognava un mondo che ha trovato, ma anche cercato di distruggerlo. La bimba è cresciuta. La bimba fra qualche settimana compierà 31 anni. Non potrò dimenticarla, né vorrei farlo. Vorrei solo che smettesse di condizionare la mia vita, le mie scelte, anche se per sempre sarà parte di esse, e di quel passato con il quale convivo e convivrò finché sarò viva.

Addio, bimba mia!

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