giovedì 26 maggio 2011

Addio, angioletto

Caro diario,

È scesa la notte avvolgendo la città come avesse fatto con un bimbo, rimboccandogli le coperte. Il cielo si è illuminato con i milioni di luci, c’è pure la luna che come attenta osservatrice bada su tutti quanti noi. Sembra che sia una notte come tutte le altre, una notte qualsiasi della primavera inoltrata, ma ha qualcosa di diverso. È una di quelle notti che, un po’ per i pensieri che ti ronzano attorno come le mosche, un po’ per il caldo, non ti fa dormire. Per qualcuno sarà una notte indimenticabile, una notte sognatrice e romantica. Per altri, invece, sarà triste e dolorosa. Qualcuno sorriderà, qualcuno piangerà. Non si può mettere d’accordo il mondo. Ognuno è persona a sé, ognuno ha una storia da raccontare. Certe storie si assomiglieranno, altre invece no.

Vorrei raccontarti una storia, una di quelle storie che hanno un bell’inizio ma c’è sempre, come in ogni storia, qualcosa o qualcuno che la rovina. Purtroppo. Questa storia poteva avere una fine diversa solo se il destino non ci avesse messo il suo zampino. Se questo destino, ecco, era meno crudele. O era l’uomo quello che ha cambiato la fine di questa storia?

C’era una volta una bambina. Si chiamava Elena e aveva a malapena due anni, i venti due mesi esatti. Era una bambina felice, con una bella famiglia e un fratellino o sorellina in arrivo. Come ogni bimbo della sua età, anche Elena andava all’asilo, dove giocava con gli altri amichetti. Un giorno bello e pieno di sole il suo papà dovette accompagnarla in quel luogo che ad Elena dava tanta gioia e serenità ma non lo fece. La lasciò chiusa in macchina, al caldo cuocente, e si diresse verso l’università dove insegnava, convinto di averla, invece, accompagnato all’asilo come sempre. Era una giornata strana, quella. Nessun passante nelle vicinanze, nessuno che poteva aiutare ad Elena. Era abbandonata al suo destino crudele, diabolico. Passate cinque ore all’università, il professore tornò alla macchina e trovò la sorpresa amara, il corpicino quasi senza vita. Inutili furono i soccorsi. La bambina non ce l’ha fatta. Morì così, in quella maniera così assurda e per giunta per la mano del proprio genitore che quel giorno fatidico aveva dimenticato sia la testa che il cuore di padre chissà dove.

Ricordo la rabbia che provai appena sentii la notizia, speravo col tutto il cuore in un miracolo. Il Dio se la portò via e solo lui saprà la ragione per cui l’ha fatto. Elena, però, meritava di vivere. Meritava una vita migliore e forse un genitore migliore. Il destino aveva optato per la sua morte, lasciando in vita quell’uomo che per il resto dei suoi giorni dovrà fare i conti con la propria coscienza. Elena non c’è più ma come se continuasse a vivere in quei bimbi che vivranno ora proprio grazie a lei e ai suoi organi.

Addio, Elena. In una di queste stelle che brillano stanotte ci sarai anche tu. Io ci credo in queste cose, sai. Lassù c’è anche il mio di angioletto che il destino portò via nel lontano 1986. non permettendogli neanche di conoscermi. Si chiama Marco. Avrei, perlomeno, voluto chiamarlo così. Se lo vedi, digli grazie da parte mia. So che sempre veglia su di me e i miei genitori come farai tu ora con i tuoi.

Addio, angioletto. 

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