domenica 16 febbraio 2014

Lettura notturna: I disorientati



Caro diario,

Ogni libro è la storia a sé. C'è quello che ti lascia senza parole, che ti prende e ti rivolta come un calzino e ti fa pensare, anche il giorno dopo che lo hai chiuso. Ieri sera, dopo aver finito “I disorientati” di Amin Maalouf, sono andata a dormire chiedendomi: “Era il finale che mi sarei aspettata di leggere?” Mi sembrava di no. Provavo una sorta di rabbia verso l'autore per avermi lasciata “in sospeso”, ma poi, la notte porta il consiglio, ho capito, credo, il perché di quella scelta. Partiamo, però, con l'ordine.

C'era qualcosa in titolo scelto per quest'opera, “I disorientati”, che mi aveva attirata. Leggendo, poi, l'incipit, era come se il libro mi stesse chiamando, dicendomi all'orecchio: “Scegli me.” Non ho esitato, ho seguito l'intuizione, l'ho comprato e a breve iniziato a leggere. La storia mi ha portato in Libano, in un villaggio di cui nome non appare mai tra le pagine, nemmeno il Libano stesso ma lo presumo, dove è nato e vissuto Adam, il professore di storia alla Sorbona, emigrato in Francia un quarto di secolo fa durante la guerra civile. Nella notte tarde, mentre era ancora a Parigi, riceve una telefonata dal suo paese natio. Dall'altra parte della cornetta trova una persona che non si sarebbe mai aspettato di sentire, Tania, moglie di suo amico Mourad, che lo invita di tornare nel paese per dare l'ultimo saluto all'amico morente che desidera vederlo. Tra i due non scorre del buon sangue, Adam non ha perdonato alcuni comportamenti dell'amico durante la guerra, ma non se la sente di rifiutare l'invito. Decide così di partire, di tornare al paese dopo 15 anni, non credendo di rimanerci a lungo. La sorte fa, però, che arriva tarde, l'amico è già morto. 


Inizia così il suo racconto, che descrive le giornate, 16, al villaggio. Il suo primo incontro con la vedova, che vorrebbe che gli amici del marito potessero ritrovarsi al villaggio un giorno per ricordarlo, il disgusto che gli fa vedere alcuni personaggi politici al capezzale dell'amico. Il suo primo istinto gli dice di tornarsene a casa, mente anche la vedova riguardo alla possibilità di rimanere al funerale trovando la scusa di dover tornare all'università omettendo il fatto di aver preso un anno sabbatico. È una possibilità unica, passare un po' di tempo al paese, decide così di rimanere installandosi nella locanda della bella Semiramis, sua amica dai tempi dell'università. Chiuso nella stanza, perdendo solo il tempo per mangiare qualcosina, comincia a raccontare la propria storia in un taccuino. 


Ricorda i tempi in cui il loro gruppo si è formato, parlando di ogni amico che ne faceva la parte. Erano così diversi tra di loro, alcuni musulmani, alcuni cristiani, ebrei, ma era proprio questa diversità che gli faceva unici. I conflitti, si sa, fanno sì ognuno reagisca a modo proprio. L'amico ebreo, con la famiglia, si trasferisce in Brasile, Adam va in Francia. Albert, oggi noto ricercatore statunitense, che voleva suicidarsi per porre fine alla sofferenza che lo affliggeva, viene sequestrato ma dopo il rilascio tenta la sua fortuna oltre oceano. Uno di loro, dopo aver diventato ricco costruendo palazzi, decide di diventare il frate e così via. Giorni passano e l'idea di una loro rimpatriata diventa sempre più forte. A organizzare l'evento è proprio Adam. Comincia a scrivere agli amici in esilio, che si mostrano entusiasti dell'idea di ritornare in patria. Pian piano che si va avanti, si scoprono cose su ognuno di loro. 

Il racconto di Adam si alterna ai suoi scritti, memorie riportate nel taccuino per ricordare gli eventi com'erano. La lettura è scorrevole, limpida, piena di riflessioni che fanno pensare il lettore che si aspetta una, per scoprire poi un'altra cosa arrivando al finale, per niente banale, anzi. Forse un colpo di scena che al momento non ti aspetti. Il quale, come dicevo, mi ha fatto sentire in conflitto con Maalouf, che era la prima volta che leggevo, ma mi ha anche fatto scoprire un autore che vorrei incontrare ancora.

È stata una lettura piacevole, una di quelle che ti si insediano dentro il cuore per l'emozione che ti da. Ma soprattutto è stata una lettura in cui più andavo avanti più trovavo me stessa. Mi chiedevo come sarebbe stato il mio rientro dall'esilio, in una circostanza del genere. Nelle parole di Adam, che diceva di sentirsi straniero sia in Francia, che nel paese natio, il cuore mi ribaltava. Era esattamente l'emozione che spesso provavo. Nonostante non fossi originaria da quei luoghi lì, trovavo in alcuni passaggi i miei Balcani tumultuosi, le differenze religiose, gli amici della scuola superiore appartenenti alle diverse nazionalità, ma anche quelli incontrati in Italia, emigrati come me in seguito di guerra.  È un libro che, nella mia modesta opinione, merita di essere letto.

Buonanotte, cari lettori!

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