Caro diario,
Ogni libro è la storia a sé. C'è quello che ti lascia senza
parole, che ti prende e ti rivolta come un calzino e ti fa pensare, anche il
giorno dopo che lo hai chiuso. Ieri sera, dopo aver finito “I disorientati” di
Amin Maalouf, sono andata a dormire chiedendomi: “Era il finale che mi sarei
aspettata di leggere?” Mi sembrava di no. Provavo una sorta di rabbia verso
l'autore per avermi lasciata “in sospeso”, ma poi, la notte porta il consiglio,
ho capito, credo, il perché di quella scelta. Partiamo, però, con l'ordine.
C'era qualcosa in titolo scelto per quest'opera, “I
disorientati”, che mi aveva attirata. Leggendo, poi, l'incipit, era come se il
libro mi stesse chiamando, dicendomi all'orecchio: “Scegli me.” Non ho esitato,
ho seguito l'intuizione, l'ho comprato e a breve iniziato a leggere. La storia
mi ha portato in Libano, in un villaggio di cui nome non appare mai tra le
pagine, nemmeno il Libano stesso ma lo presumo, dove è nato e vissuto Adam, il
professore di storia alla Sorbona, emigrato in Francia un quarto di secolo fa
durante la guerra civile. Nella notte tarde, mentre era ancora a Parigi, riceve
una telefonata dal suo paese natio. Dall'altra parte della cornetta trova una
persona che non si sarebbe mai aspettato di sentire, Tania, moglie di suo amico
Mourad, che lo invita di tornare nel paese per dare l'ultimo saluto all'amico
morente che desidera vederlo. Tra i due non scorre del buon sangue, Adam non ha
perdonato alcuni comportamenti dell'amico durante la guerra, ma non se la sente
di rifiutare l'invito. Decide così di partire, di tornare al paese dopo 15
anni, non credendo di rimanerci a lungo. La sorte fa, però, che arriva tarde,
l'amico è già morto.
Inizia così il suo racconto, che descrive le giornate, 16,
al villaggio. Il suo primo incontro con la vedova, che vorrebbe che gli amici
del marito potessero ritrovarsi al villaggio un giorno per ricordarlo, il
disgusto che gli fa vedere alcuni personaggi politici al capezzale dell'amico.
Il suo primo istinto gli dice di tornarsene a casa, mente anche la vedova
riguardo alla possibilità di rimanere al funerale trovando la scusa di dover
tornare all'università omettendo il fatto di aver preso un anno sabbatico. È
una possibilità unica, passare un po' di tempo al paese, decide così di
rimanere installandosi nella locanda della bella Semiramis, sua amica dai tempi
dell'università. Chiuso nella stanza, perdendo solo il tempo per mangiare
qualcosina, comincia a raccontare la propria storia in un taccuino.