Esiste un modo ideale per iniziare a raccontare la storia della propria vita e non farla sembrare banale nello stesso tempo, banale e simile a tante altre? Il vecchio cliché di una storia felice che avrei potuto scrivere quando ero più giovane non fa ormai per me. Lo so, ce ne saranno mille di storie molto più interessanti di quella che parla di un vulcano da qualche parte nel cuore dei Balcani esploso un giorno spargendo al posto della lava il sangue di tanta gente innocente che non se lo meritava. Un vulcano tanto potente, tanto forte che influenzò le scelte di molti, me inclusa, tutti quanti noi che per vivere abbiamo fatto un giorno le valigie raggiungendo qualunque parte del mondo in cerca di un futuro migliore, in cerca di un antidoto a quel virus balcanico da cui erano ammalati non solo i nostri politici. Purtroppo, nessuno ha ancora trovato quella cura ma ormai, a che cosa servirebbe? A farmi fare un passo indietro?
Stamattina ho trovato una vecchia scatola piena di lettere, di ricordi di mia gioventù, di quel passato che ci dava molto e toglieva tanto nello stesso tempo. Mi sembrava di aver sentito lo stesso brivido come in quella mattinata primaverile dell'ormai lontano 1999 in cui chiamai Giuliana con quella voce tremante e le dissi semplicemente: “Aspettami all'aeroporto, arrivo a... ” Ho l'impressione che il passato si stia prendendo il gioco di me, ma lo affronterò con coraggio come sempre. Mi aspetta l'ennesima battaglia contro il passato che intendo vincere perché la vita è unica, non ce ne saranno delle altre, e bisogna viverla fino a fondo come giustamente diceva mia nonna. Una vita che dura poco e bisogna approfittare di ogni suo instante.
Da qualche tempo che rimandavo questo momento scappando dal solo pensiero che potesse arrivare un giorno. Correvo come una matta da un anno all'altro cercando di dimenticare il passato, propri errori che magari avrei potuto evitare, ma ignoravo quel vecchio detto che afferma che la verità esce sempre a gala. Quando le ho dato la possibilità di scegliere il regalo per il suo diciottesimo compleanno non avrei mai pensato che mia figlia avrebbe scelto di tornare in quella città che per me ormai non esisteva più, che pensavo di aver seppellito tra i ricordi del passato. Avevo cercato in tutti modi di dissuaderla da quell'idea assurda, per me almeno, ma tutto era inutile. Vittoria era una testarda, proprio come me. Mi aveva messo davanti al fatto compiuto e non avevo altra scelta tranne che acconsentire quella follia.
Non volevo ammettere ma in fondo capivo che lei aveva ragione, e continuare a scappare dalle proprie radici non aveva ormai alcun senso. Dovevo fare quel viaggio non solo per accontentare Vittoria, lo dovevo a me stessa e alla mia famiglia ma soprattutto lo dovevo a coloro che non ci sono più e a coloro che dovevano ancora vivere coscienti di quelle radici che non avevo il diritto di negare. Così ho capitolato ed eccomi qui. Sto per partire in ricerca delle stesse radici che fino a qualche giorno fa volevo cancellare, ma ora ho capito che, se le ritrovo, ritroverò anche me stessa. È arrivata l'ora di rincontrare Belgrado come tempo fa Rastignac rincontrò la sua Parigi. È giunta l'ora di fare i conti col proprio passato rimasti in sospeso per troppi anni.
“Penso che questo sia il miglior regalo che tu e papà potevate darmi!” Con una voce piena di entusiasmo esclamò Vittoria interrompendo il dialogo che facevo con me stessa.
“Per anni cercavi di convincerci di portarti in città dove nascessimo mamma ed io. Ci voleva del tempo per decidere di partire ma alla fine ci siamo convinti anche noi.” Con tanto amore e dolcezza rispose mio marito. Ritorno a Belgrado sia per me sia per lui significava molto di più che una semplice visita turistica della capitale serba. Significava aprire la scatola di Pandora del nostro passato tormentato e non sapevamo se eravamo contenti o meno per aver fatto la scelta del ritorno.
“Però alla fine abbiamo capito la tua necessità di ritrovare le proprie radici ora che ne abbiamo bisogno più che mai. Fra poco arriveremo a casa.” Dissi sorridendo. A casa. A Belgrado che lasciai con la promessa di non ritornarci mai più. Mai. E ora, sono sull'aereo che fra poco atterrerà all'aeroporto di Belgrado e in mano ho un biglietto che somiglia a quello che tenevo in mano quel giorno di primavera di anni fa solo che questa volta la rotta è invertita: Milano - Belgrado.
“A casa.” Sussurrò Vittoria confusamente. Quella parola casa le sembrava così innaturale perché da sempre considerava come sua casa quella casa a Milano in cui vivevano, che la contessa Giovanna Tedeschi vecchia amica di suoi genitori gli aveva lasciato in eredità.
“Sai Vittoria, nonostante tutto, solo un posto al mondo è la casa vera.” Dražen notò la confusione della figlia. “Quel posto in cui ti batte il cuore più forte, dove il cielo è di un azzurro chiarissimo e dove il sole ha una luce intensa, indescrivibile. E per la mamma e me quel posto era e sarà per sempre soltanto Belgrado.” Concluse mio marito quasi piangendo dall'emozione.
“Non capisco. Da sempre pensavo che Milano fosse la casa nostra e lo consideravo l'unico posto dove eravate davvero felici. Belgrado era come un tabù per voi che evitavate con abilità e se non vi avessi convinto io da soli non avreste mai preso l'iniziativa di partire. La madrina aveva ragione. Per voi Belgrado è ancora una fobia dal quale non riuscite ancora a liberarvi!” Replicò furiosa Vittoria. Aveva ragione ma né io né mio marito avremmo avuto il coraggio di ammetterlo.
“Lo sapevo! Lo sapevo che dietro questa tua idea folle era lo zampino di Katarina.” Dissi arrabbiata. Non m’importava che d'improvviso tutti i passeggeri girarono la testa verso di noi. “Ed io che pensavo di aver preso una decisione da sola.” Risi con amarezza.
“Se l'idea ti sembrava così pazzesca mamma, perché l'hai accettata? Con o senza il vostro aiuto io sarei partita lo stesso, lo sapevi. Non pensi che io abbia il diritto di visitare la vostra città natale, la città in cui sono stati seppelliti i nonni? La stessa città in cui ora, ormai da anni, vive lo zio che da quello che ne so io ha sofferto anche più di te?” E poco dire che Vittoria era arrabbiata, era furiosa. Per diciassette anni l'hanno tenuta a oscuro del loro passato, lontano da quei Balcani in cui sono nati e cresciuti e non capiva tutta quella protezione. Era però il giorno in cui compiva i diciotto anni e finalmente poteva prendere le decisioni riguardo alla sua vita. Il viaggio a Belgrado era soltanto il primo passo da grandi per Vittoria.
“Ho accettato perché da qualche parte nel cuore ho sentito che è arrivato il momento giusto per ritornare in città dove confluiscono due meravigliosi fiumi Sava e Danubio. E proprio in quel posto un giorno papà, io, zio e nostri amici giurammo che la nostra amicizia sarebbe durata per sempre. Il vecchio giuramento ci obbliga di rincontrarci un giorno nello stesso posto dove in passato ebbe nascita la nostra amicizia. E quanto pare quel giorno è arrivato.” Dissi con fierezza.
“E non sei arrabbiata con la madrina Katarina per avermi usato come esca per farti tornare a casa?” Mi chiese Vittoria con aria preoccupata.
“Non sono arrabbiata. Non c'è il motivo per esserlo.” Come potrei arrabbiarmi con una delle mie miglior amiche? Avrei dovuto capire da subito che era lei dietro la richiesta di Vittoria. Katarina, Tijana ed io eravamo miglior amiche da una vita, le tre moschettiere come ci chiamavamo, che un giorno nel giardino dei Grandi giurarono di rimanere unite per sempre, per tutta la vita.
“Grazie Sonia di aver accettato di intraprendere questo viaggio con me e con nostra figlia. So quanto ti costa rientrare a Belgrado e ti ammetto che non è facile nemmeno per me tornarci dopo tutti questi anni. Però, nel fondo della mia anima sapevo che sarebbe arrivato il giorno in cui Vittoria avrebbe desiderato di vedere la nostra città.” Il ritorno spaventava anche Dražen più di quanto pensava fosse possibile.
“Non ringraziarmi, non c'è di che ringraziarmi tesoro. Qualunque esito avrà questo viaggio io sarò felice. In tutti questi anni mi mancava qualcosa per essere completamente felice e ora capisco che quel tassello mancante era proprio Belgrado. Ho bisogno di questo viaggio non soltanto per creare un ponte per poter collegare il passato con il presente ma sopratutto per dare a noi tre un futuro di cui abbiamo sempre sognato.” Replicai.
“Anche se non nascondo di aver un po' di paura, sapere che sto per tornare in città in quale sono nato mi rende molto felice. Ovunque ci porti questo viaggio io non mi pentirò.” Rispose Dražen sorridendo.
Vittoria allacciò la cintura cercando di far smettere il suo cuore il cui battito diventava sempre più forte. Il pilota annunciava l'atterraggio all'aeroporto di Belgrado. Per la prima volta visiterà la città dove si erano conosciuti e innamorati suoi genitori. Era emozionata come quando in quella gita scolastica a Verona aveva visitato per la prima volta la famosa casa di Romeo e Giulietta. Chiuse gli occhi per far mandare via la paura. Anche se le costava tanto ammetterlo, era un po' impaurita da quello che avrebbe trovato in quella città misteriosa e soprattutto in casa dove sua madre e zio erano cresciuti. Decise però di rilassarsi e di non pensare. Per la prima volta avrebbe incontrato la sua famiglia belgradese, che rappresentava per lei il più bel regalo per i suoi diciotto anni, e questo bastava per renderla felice. Il resto non contava.