martedì 30 agosto 2011

LIFETIME moments

Dear diary,

I’ve finished with the work for today and finally I have some time for myself, for my thoughts that I usually share with you. It passed some time since our last ‘conversation’, but here I am, ready to talk too much, as always.

Today I want to speak about lifetime moments, days or hours so special for us that we will always keep alive in our memory.  I had a few moments like this that I keep in my heart and remember from time to time. This weekend I lived one of those precious instants that cannot be described by words so easily but I will give a try.

I met Fabiola exactly 11 years ago. I was travelling from Trento to Trieste where I was supposed to go to the university to matriculate myself. She was going there too, for the same reason. In that train actually began our friendship although we couldn’t suppose that at the time. The university started in October 2000 and that first year I ended up in a catholic dormitory run by the nuns of Providence where I met again with Fabiola, Faby as we all call her, and the other two girls Alessandra and Clara. We became close friends no matter the following year they moved to a flat and I stayed in a crazy catholic dormitory where I spent three years.  The guys who lived at the time in a man catholic dormitory, our university colleagues, used to call us Providence girls. I still have the habit to call us with the same lovely nick name that reminds me of good old university days.


giovedì 25 agosto 2011

Balkanski virus - deseto poglavlje

Prošlo je više od godinu dana od dana kada ga je ostavila, kada ga je izdala i slagala, a i dalje je bila prisutna u njegovom srcu i to protiv njegove volje što mu je jako smetalo. Šta je bilo bilo je, iz kože u kojoj je bio se nije moglo van, i hteo, ne hteo, morao je da prihvati situaciju u kojoj se našao. Onog dana kada je video u emisiji na tv-u nasmejanu i srećnu Anu, zakleo se samom sebi da će okrenuti novu stranicu života, na kojoj nije bilo mesta za Anu, ali mu to nikako nije polazilo za rukom. Nije da se nije trudio, mnoge su devojke prošle Srđanovim životom od Aninog odlaska, ali sve su one bile dobre samo za jedno, seks i ništa više od toga. Mnogi njegovi prijatelji otvoreno su mu prebacivali zbog načina života koji je vodio od Aninog odlaska ali njihove više nego dobronamerne kritike nisu bile prihvaćene onako kako su se oni nadali. Srđan je morao da prođe kroz taj neki svoj pakao, morao je da dotakne dno ne bi li se nekako povratio od šoka koji mu je prouzrokovala njegova, na žalost, sad već bivša devojka. Nije mu bilo pomoći, trenutno bar, i morao je da se navikne na suživot sa duhovima prošlosti koji su ga svakodnevno proganjali. Hteo, ne hteo, morao je da prihvati bolnu istinu o rastanku sa Anom i da nastavi svoj život kao da ona nikad i nije postojala. Kao da je to bilo lako! Nije, jer ma koliko bila daleko, kao da je imala moć da ga i tamo iz čizme kontroliše i vlada njegovim mislima i srcem.
Bila je zabrinuta za njega, i svakodnevno mu je to govorila, ali njenu brigu, kao ni brigu njihovih prijatelja, Srđan nije shvatao ni prihvatao. Nisu postojale te reči koje bi njegove muke izbrisale, koje bi otopile led sa njegovog napaćenog srca. Nataša nije mogla više da ga gleda u takvom stanju. Ipak, prošlo je više od godinu dana, što je mnogo mnogo je. Nije mogla da dozvoli da potone do dna zbog one čije ime nije bilo vredno pomena, zbog one kojoj ništa više nije bilo važno ni njen nekadašnji dečko ni sama Nataša koja je, takve stvari se na žalost najlakše zaboravljaju, bila njena najbolja drugarica iz školskih dana. Srđan je uporno odbijao ne samo njenu već i pomoć njihovih starih prijatelja i svesno je sebe gurao u propast  što nije mogla da dozvoli. Morala je pothitno da nađe neko rešenje. Morala je što pre da mu nađe neku normalnu devojku koja će biti u stanju da mu izbije iz glave onu glupaču i da ga konačno vrati na pravi put. I samo jedna devojka je odgovarala tom opisu. Samo, trebalo je nekako da ih upozna i da sprovede svoju ideju u delo. Na sreću, vreme joj je išlo na ruku. Bližio se njen osamnaesti rođendan koji je želela da proslavi na spektakularni način organizujući za tu tako posebnu priliku žurku u svom stanu. Nadala se samo da će joj onaj baksuz od njenog oca dati dozvolu sa tako nešto. Uostalom, u zadnje vreme je često napuštao Beograd na duže periode, navodno zbog posla, i ako je Nataša imala bar malo sreće, tako će biti i za vikend kada je planirala da napravi party. 
„Ćao Ivana, Nataša ovde.  Šta radiš danas popodne? Treba mi tvoja pomoć. Znaš malu Tanju, onu što studira medicinu sa Tikom, što živi tamo kod tebe u kraju? Šta misliš da je upoznamo sa Srđanom?“ Iznenada joj sinula idealna ideja kako da prekrati sve muke svom najboljem prijatelju.

martedì 23 agosto 2011

Il virus balcanico - nono capitolo

Erano passate due settimane dal giorno in cui dovettero per forza maggiore abbandonare la loro città natale a causa della guerra civile che non aveva risparmiato la loro repubblica. Si erano rifugiati dalla nonna materna che viveva a Belgrado perché, a differenza dei molti loro concittadini, avevano la possibilità e qualcuno pronto per ospitarli. Belgrado però non poteva sostituirle Sarajevo nonostante tutti i sforzi dei familiari per farla sentire come se fosse a casa propria. Ogni volta che la vedevano piangere si sentivano male. Avevano cercato di rincuorarla però le loro parole di conforto non aiutavano a Selma di sentirsi meglio. Né riusciva a dimenticare le offese, tutte quelle brutte cose che hanno preceduto la loro partenza da Sarajevo. L’unica cosa che poteva fare era continuare con la propria vita che non era più la vita. Era un brutto sogno che non aveva la fine.
Era già morta quel giorno in cui l’uomo che amava le aveva detto che era un miscuglio,  che non era più la donna che avrebbe potuto sposare e che non avrebbe voluto vederla mai più. Il cuore aveva smesso di batterle quando la madre le aveva confessato che avevano minacciato di massacrare lei stessa, il marito e la figlia se non avrebbero lasciato la città. Quella notte stessa hanno preso tutto l’occorrente se ne sono andati. Col primo impulso, hanno pensato di nascondersi dallo zio Ibrahim, il fratello del padre di Selma, a Srebrenica, però Slavica, la madre di Selma, aveva insistito di andare in Serbia e Amir non poteva fare altro che darle retta.  “Almeno là non c’è la guerra. Saremo al sicuro.” Gli aveva detto mentre caricavano le ultime cose. Tutti e tre hanno pianto dalla tristezza mentre lasciavano alle spalle la loro città, promettendo a se stessi che un giorno ci sarebbero ritornati. Un giorno quando la guerra sarebbe finita. Sì, Selma poteva continuare a vivere. Anzi, doveva continuare a vivere.


Aveva bisogno di un po’ di tempo per capire cosa aveva fatto e che le sue azioni, a suo malgrado, potevano avere delle conseguenze che avrebbe potuto evitare. Sfortunatamente, non aveva l’altra scelta che abbandonare il tetto familiare perché la sua pazienza aveva dei limiti e alcune cose Saša non avrebbe potuto tollerare più. Forse avrebbe potuto sacrificarsi per la salvaguardia della pace in casa e lasciar correre le cose. Il suo carattere, a volte era troppo impulsivo e questo non poche volte gli era d’intralcio, era uscito a gala e il resto ormai era la storia. Senza i pelli sulla lingua gli aveva detto tutto quello che pensava di lui, lo ha mandato al diavolo e se n’è andato da casa sbattendo la porta col desiderio di non tornarci mai più. Al primo istante pensava di andare da Miloš però subito dopo cambiò l’idea perché non voleva che sua sorella si preoccupasse. Alla fine, pensandoci meglio, aveva deciso di nascondersi dalla zia Vera perché da lei si sentiva al sicuro. Dopo la morte del padre la zia era l’unica che gli era rimasta, la sua era l’unica e vera famiglia di Saša su cui poteva contare sempre, anche  e soprattutto se passava dei brutti momenti.
“Certo che puoi rimanere qui quanto vuoi, però dovresti informare Tijana e Dragana del tuo trasloco.” Gli disse la zia Vera quando quella mattina era ritornata da Vrnjačka Banja. Non sapeva che Saša stava da loro, sua figlia Maria non le aveva detto nulla perché suo cugino voleva mantenere il segreto. A dire la verità, neanche Saša pensava che si sarebbe fermato da loro due giorni. Pensava che la rabbia che provava sarebbe svanita presto però non era cosi. Non aveva alcuna intenzione di tornare a casa propria.
“A mamma non importa dove sono io. Le importa più di Jovan che di me. Penso che non si sia neanche accorta della mia scomparsa. Però hai ragione zia, dovrei almeno dire a Tijana che sono qui.” Di sicuro stava impazzendo dalla preoccupazione, pensò Aleksandar mentre digitava il numero del telefono di suo futuro genero.
“Ciao, sono io. Mia sorella sta là? Posso parlare con lei Miloš? Ascolta, devo chiederti un favore grosso. Devi convincerla di trasferirsi da te. La nostra casa non è un luogo ideale dove vivere.”
Non pensava che un giorno avrebbe potuto dire una cosa del genere, però doveva a qualunque costo proteggere la sua sorellina. Lo aveva promesso a loro padre la mattina stessa in cui era arrivato da Vienna per l’ultima volta, e mentre erano in macchina che li portava a casa dall’aeroporto,  gli aveva detto di avere paura per una serie di minacce arrivate all’ambasciata che erano indirizzate a lui. Saša gli aveva rinnovato la stessa promessa nel giorno del funerale. Da sempre loro padre era l’appoggio morale della figlia, che non lo dimenticava nonostante fossero passati ormai sei mesi dalla sua scomparsa. Non poteva più contare su di lui, ma poteva contare su Saša che, anche se non poteva sostituire il padre, era l’unico dalla famiglia che le era rimasto.
“Ciao, sorellina. Io sono dalla zia Vera, non ti devi preoccupare per me.”


                                  *
Si stava preparando per uscire pensando a lui, all’amore che provava nei suoi confronti, alle settimane passate insieme. Era il periodo più bello della vita di Nataša che per la prima volta si era innamorata, come capitava a tutte le ragazzine della sua età, e le sembrava di poter volare. Era “cieca” per accorgersi del mondo,  per lei esisteva soltanto Nicola e il loro amore. La scuola era come se non ci fosse, aveva accumulato troppe assenze nell’ultimo mese che in qualunque momento poteva essere scoperta dai genitori. Era poco probabile che succedesse una cosa del genere, visto che per loro esisteva solo il lavoro, dopo il quale venivano le loro figlie, Nataša e sua sorella Nina. Per fortuna, negli ultimi giorni in città c’era un caos totale a causa della protesta studentesca e anche volendo, i suoi genitori non si sarebbero accorti di lei. Sulle barricate erano già tutti gli amici suoi e di Nicola e non poteva perdere, per nulla al mondo, l’evento principale del giorno. 
“Nadia, stai andando da qualche parte?” Nel momento in cui apriva la porta vide la sorella minore che era apparsa d’improvviso.
“Vado da Nicolina, dobbiamo studiare per il test finale di biologia. Sai come è severa la madrina Jelena, non tollera alcun tipo di favoritismo.” Sorrise Nataša. Per la prima volta non si era sentita di arrabbiarsi con la sorella per quel sopranome che detestava, primo perché era in ritardo, e poi non voleva che quel dittatore di loro padre la scoprisse.
“Lo so, proprio come lo so che non sei mai stata capace di mentire. Vai di nuovo alle dimostrazioni di piazza con Katarina. La protesta di DEPOS[1], ne parlano in città da giorni.” Nina era ben informata.
“Ascolta piccola, se ne parli con mamma e papà, ti meno! Hai capito?” Alzò il tono della voce sperando di chiudere così la discussione però Nina non aveva paura.
“Tu sei pazza! Papà ti ucciderebbe se lo sapesse! La figlia del generale Miletić supporta l’opposizione! Non sei normale! Ti rendi conto cosa stai per fare?” Continuava Nina.
“Ascoltami, non voglio litigare, sono in ritardo. So che papà mi avrebbe ucciso perciò stai zitta, ok?”
Non aspettò la risposta della sorella, uscì dalla loro stanza correndo come se avesse paura che il loro padre potesse coglierla in fragrante mentre faceva qualcosa d’illecito.


A volte penso che il nostro paese sia condannato ad una rovina eterna. Come se non fosse sufficiente che i nostri cari stessero combattendo in questa, a mio avviso, assurda guerra, ora ci hanno pure condannato per qualcosa che non abbiamo commesso noi. Questi giorni mi sento come se fossi nello stesso tempo prigioniera di un regime che non accetterò mai, finché avrò vita, e una persona libera se guardo tutti questi giovani che mi circondano. Mi riempie d’orgoglio sapere che non sono l’unica che vorrebbe far scendere dal piedestallo il Maresciallo. La mia speranza è che molti giovani si uniranno a noi amareggiati ed arrabbiati in questa battaglia che mi auguro non durerà ancora a lungo. Ma poi, in un momento di sconforto, mi chiedo se davvero vale la pena combattere. Qualunque fosse la risposta, io non perdo la speranza. Io credo ancora nel nostro potere, nel potere di coloro che un giorno restituiranno la rispettabilità a questo paese. Nel potere di coloro che un giorno ci faranno ritirare da tutti i fronti balcanici perché questo non è la nostra guerra. Non è la mia guerra, né dei miei coetanei che sognavano un futuro diverso, un futuro che ci univa non separava.
Come riuscire a spiegarlo a tutte quelle teste calde che stimano colui che ci ha rovinati, che ci ha messo in una posizione sfavorevole e che è l’unico colpevole per le sanzioni economiche che non volevamo né meritavamo. Impazzisco ogni tal volta che sento i vecchietti come parlano di lui con venerazione. Mi basta sentire colui che è purtroppo mio padre con quale rispetto parla del suo maestro, come lo elogia, che mi venga il voltastomaco. Per colpa sua e dei suoi commilitoni mio fratello se n’è andato, chissà dove si trova ora e se è al sicuro. Mi viene da vomitare se penso a coloro che sono seduti comodamente sulle loro poltrone, al caldo dei loro uffici ministeriali, mentre portano questo paese in rovina. Per colpa loro mi sono ammalata e chissà quando, e se guarirò, solo il Dio lo sa, da questo virus balcanico per il quale non hanno ancora trovato una cura.
“Ciao Sonia. Uh, solo il Dio sa se riceverai un giorno queste righe con le quali sto riempiendo questo foglio bianco, però spero dal cuore che questa lettera servirà a qualcosa. Di sicuro ti chiederai dove sono ora, se ti capita di pensare a me e a quello che avevamo un anno fa. Entrambi speravamo che questa follia non sarebbe durata a lungo, però come vedi, siamo ancora lontani dalla pace che potrebbe rimettere i nostri paesi sulla strada dell’amicizia. E non puoi immaginare quanto io soffra ogni tal volta che qualcuno parli male della nostra città però, presumo che i media serbi trattano la capitale croata alla stessa maniera. Purtroppo è in atto una guerra civile, e quando c’è quella, molte cose perdono il significato che avevano. La gente dimentica ma io non posso, né voglio, farlo. I ricordi di quei bei tempi ormai passati sono una toccasana per me che mi mantiene ancora in vita, insieme alla speranza di poterti rincontrare un giorno là dove confluiscono Sava e Danubio.”
Scrivendo, gli era venuta una voglia pazzesca di piangere e per la prima volta da quando si erano trasferiti a Zagabria si è sentito in vena di sfogarsi, di buttare dal cuore e dall’anima tutta la tristezza e la rabbia accumulatesi nell’ultimo anno. Non poteva né voleva smettere di piangere, anche se le sue lacrime stavano già bagnando il foglio sul quale stava scrivendo l’ennesima lettera indirizzata a lei. A lei dalla quale nemmeno tutto l’odio dei loro connazionali poteva separarlo. A lei che amava forse più di se stesso, però purtroppo il suo amore non era in potere di restituirgli né Sonia, tantomeno il tempo perduto. Poteva soltanto sognarla, guardare di nascosto le foto che li ritraevano del suo vecchio album che stava di nuovo nelle sue mani e sperare. La sua unica speranza era che qualcuno da lassù ascoltasse le sue preghiere e che un giorno, una volta terminato il conflitto, potesse ritornare a casa. Sì, il termine esatto era la casa perché, nonostante tutti i sforzi di Dražen, Zagabria non avrebbe potuto mai essere considerata una casa per lui. Né sarebbe stata mai in grado di prendere il posto nel suo cuore che apparteneva alla città bianca. Mai. Un giorno lui tornerà a casa sua, quella vera. Si asciugò il viso bagnato dalle lacrime, emise un sospiro profondo, deciso come lo era mai prima di terminare la sua missione. Sonia doveva sapere che lui c’era, che era presente, e che, nonostante i chilometri che li separavano, poteva sempre contare su di lui.
La protesta studentesca, avente per lo scopo la destituzione del Maresciallo, scombussolò come un vero terremoto non soltanto la capitale serba ma anche le altri grandi città del Paese. Vi parteciparono molti ragazzi giovani, come Saša e i suoi amici, che avevano posto tutte le loro speranze in quella battaglia, che non aveva portato il risultato sperato però apriva almeno uno spiraglio verso la vittoria che non era poi tanto lontana. Una battaglia persa non significava che la guerra era persa, al contrario, perché prima o poi il presidente – tiranno si sarebbe ritirato dal potere. Quella sua troppa sicurezza e il sorriso acido andavano sui nervi a Saša che sognava il giorno in cui lo avrebbe visto dietro le sbarre o meglio ancora impiccato nella piazza di Terazije per dare esempio a tutti. Quella sì che sarebbe stata la punizione giusta per quel bastardo che aveva avuto il coraggio di dichiarare con la mente fredda e senza alcuna vergogna che aveva l’appoggio totale sia dei lavoratori e dei cittadini che dalla gente di campagna, scordandosi deliberatamente degli studenti e delle loro richieste che ignorava come al solito. Saša era indignato però cosa altro si poteva aspettare da uno come Milošević? La battaglia continuava. Neanche una bomba atomica avrebbe destituito il presidente, disse un giovane dopo aver incontrato e parlato con il peggior malfattore che il Paese aveva, e Saša non poteva che essere d’accordo con lui.
Era talmente preso dai propri pensieri che non si era nemmeno accorto di Miloš che gli stava vicino e lo guardava con l’aria contrariata. Tijana non poteva più continuare a convivere con il dolore che le aveva causato il trasferimento del fratello, che ormai da settimane viveva dai parenti, e aveva pregato Miloš di cercare di farlo ragionare per convincerlo di tornare a casa. Miloš conosceva bene il futuro cognato, erano cresciuti insieme, e se sua futura moglie era testarda, il fratello di lei lo era ancora di più. Tra amici, poi,  già si sapeva, non era affatto un segreto, che Saša era arrabbiato da morire con la madre per la sua relazione amorosa con il ministro della pubblica istruzione e che non avrebbe fatto mai, per nessuna ragione del mondo, un passo indietro rispetto alla decisione già presa perché non aveva alcuna voglia di tornare là da dove era scappato di propria iniziativa. Miloš non lo biasimava però nonostante tutto non poteva molare la presa così facilmente. Saša doveva dargli retta se non per altro almeno per far stare tranquilla Tijana. Miloš non poteva permettere che le succedesse qualcosa a causa del comportamento infantile di suo fratello, proprio nel momento in cui la sua gravidanza era ormai quasi al termine, mancavano pochi mesi al lieto evento, e lo stress inutile che le provocava la situazione in cui si trovava poteva nuocere alla sua salute.
“Dove sei arrivato col pensiero? Mi piacerebbe saperlo. Stai preparando qualche piano anti-governativo?” Scherzò Miloš. Doveva pur iniziare il discorso in qualche modo. Se gli diceva immediatamente quello che voleva dirgli rischiava che il loro incontro andasse in una direzione  pericolosa che era assolutamente da evitare.
“Da nessuna parte in particolare. Stavo pensando a quel bastardo che rimarrà al potere nonostante tutte le nostre proteste. Questo paese ha bisogno di un miracolo, peccato che non ci sia un Babbo Natale che mi porterebbe come regalo la sua testa su un vassoio d’argento.” Rispose Saša con ironia che traspirava tutto la rabbia e l’odio che provava nei confronti del presidente.
“Non c’è verso Saša. È inutile. Tutto il nostro nervosismo e la rabbia non serviranno a nulla. Come se potessimo cambiare qualcosa noi. Perdiamo soltanto inutile energia in chiacchiere che riguardano la politica.” Stava cercando delle parole giuste per iniziare il discorso su Tijana. Invece di parlargli delle cose serie, si perdevano in inutile chiacchiere che riguardavano quel mostro che sì, aveva rovinato la vita a tutti loro, però non poteva essere il centro del loro mondo. Purtroppo, Miloš non trovò le parole giuste affinché Saša stesso non toccò l’argomento.
“Hai ragione. Lasciamo perdere la politica. Dimmi, come sta Tijana? Ci siamo persi di vista ultimamente, soprattutto per colpa di..” Non riuscì a finire il proprio pensiero per paura di arrabbiarsi soltanto menzionando quell’individuo che era riuscito a creare una spaccatura tra i membri della loro famiglia.
“Meno-male che ti sei ricordato di avere una sorella. Tijana non sta proprio bene. È molto nervosa, puoi ben immaginare perché. Non tocca a me di farti la predica però sei un mio amico e mi sento in dovere di dirti in faccia quello che penso. Lei ha bisogno di te, ha bisogno della pace che non trova da quando te ne sei andato. Se non per altre ragione, almeno dovresti per Tijana mettere da parte il tuo orgoglio e tornare a casa.” Gli disse quello pensava non badando minimamente al fatto che Saša potesse arrabbiarsi o meno con lui. Credeva che il suo amico gli avrebbe dato retta alla fine perché, in fondo, anche lui sotto-sotto sapeva di avere torto.
Saša era zitto. Di un tratto si vergognò per il proprio comportamento e non avendo il coraggio di guardare in faccia il suo interlocutore, si mise a fissare le punte delle proprie scarpe. Le parole che Miloš gli aveva detto lo ferirono molto, più di quanto volesse ammettere. Se teneva tanto a qualcuno, quella persona era di sicuro sua sorella. Non avrebbe perdonato mai a se stesso se lei soffrisse per colpa sua. Forse doveva dare retta all’amico nonostante non avesse voglia di andare oltre certe cose che lo facevano ancora soffrire, però non poteva prendere la decisione così veloce. Aveva bisogno di rifletterci sopra con calma e senza pressioni esterne.



Per la prima volta da quando aveva lasciato la sua città natale provò una sensazione strana che non conosceva in passato. Non si trattò di vergogna, c’era qualcos’altro che lo perseguitava come un fantasma ovunque andasse. Era un sentimento nuovo per Maksim che non si era mai trovato in situazione a mettere in discussione le proprie azioni e conseguenze che ne derivavano. Non era per niente facile ammettere che si sentiva in colpa per la maniera in cui se ne era andato, ma soprattutto perché era un codardo che non aveva avuto il coraggio per dire agli amici dove e perché andava, né di salutare lei. Per la prima volta da quando i suoi genitori lo avevano portato a Budapest Maksim ebbe paura di aver fatto lo sbaglio più grande della sua vita del quale si pentiva molto. Però, doveva essere sincero,  anche se a malincuore, e ammettere che tutto che gli succedeva era la punizione giusta che meritava assolutamente per tutto il male che le aveva fatto, per tutto il dolore che le aveva causato, che aveva causato anche a se stesso, solo che non se ne rendeva conto.



















[1] L’opposizione democratica serba, N.d.A.

Balkanski virus - deveto poglavlje

Prošle su dve nedelje od dana kad su morali prinudno da napuste rodni grad zbog rata koji nije poštedeo ni njihovu republiku. Pobegli su kod bake po majci u Beograd jer su, za razliku od mnogih njihovih dojučerašnjih sugrađana, imali mogućnosti i nekoga ko je bio spreman da im pruži utočište. Beograd ipak nije mogao da joj zameni Sarajevo ma koliko se njeni bližnji trudili da joj olakšaju boravak u prestonici Srbije. Svaki put kad bi je videli uplakanu, bilo im je teško ali njihove reči utehe nisu mogle da  pomognu Selmi da se oseća bolje. Niti je mogla da zaboravi sve one uvrede, sve one ružne stvari koje su prethodile njihovom odlasku iz Sarajeva. Mogla je jedino da nastavi sa svojim životom. Životom koji to više nije bio. Više je ličio na noćnu moru kojoj se nije video kraj.
Umrla je onog dana kad joj je onaj kojeg je volela rekao da je mešanac, da nije ona koju je želeo da oženi i da ne želi više da je vidi. Prestalo je srce da joj kuca kad joj je majka priznala da su joj pretili da će da zakolju nju, njenu ćerku i njenog muža ako odmah ne napuste grad. Te iste noći pokupili su svoje najbitnije stvari i krenuli. U panici su mislili da bi im najbolje bilo da se sklone kod strica Ibrahima u Srebrenicu ali je Slavica insistirala na odlasku u Srbiju i Amir nije mogao a da je ne posluša. „Bar tamo nije rat. Bićemo na sigurnom.“ Rekla mu je dok su pakovali poslednje stvari. Plakali su svi troje dok su ostavljali za sobom rodni grad obećavši da će se jednog dana vratiti. Jednog dana kad rat bude bio gotov. Da, Selma je mogla da nastavi da živi. Morala je da nastavi da živi.   
                          

martedì 16 agosto 2011

Il virus balcanico - ottavo capitolo

Non le fu permesso di portare con sé né l’album con le sue foto preferite, né la scatola contenente le cose di valore, tra cui la medaglia che aveva vinto nelle Olimpiadi che si erano tenute nella sua città natale, Sarajevo, nell’ormai lontano 1984. Poteva soltanto prendere lo stretto necessario e scappare. Non le avevano detto dove erano diretti, sapeva solo che doveva sbrigarsi. Non era poi cosi importante dove andavano, e anche se lo fosse, cosa cambierebbe? Non aveva l’altra scelta tranne che sbrigarsi, ma non era per niente facile. Non era facile lasciare tutto e partire d’improvviso come se tutti quegli anni di vita, venti due per esattezza, non avessero alcun significato. Sua famiglia almeno aveva la possibilità di andarsene, ma gli altri? Gli altri sarebbero rimasti. Anche Selma voleva restare, ma non gliel’avevano dato quella possibilità. Almeno era riuscita a prendere la medaglia d’argento dalla scatola e a metterla al collo. Era il suo portafortuna di cui avrà bisogno in quella nuova vita che l’aspettava lontano dalla sua Sarajevo. Un giorno sarebbe tornata a casa però ora doveva andarsene, anche se le costava molto.
Non era facile lasciare tutto alle spalle come se non fosse successo nulla, come se non esistesse nulla. Era come se qualcuno avesse cancellato con una gomma magica tutto quello che Selma era, che era il suo passato a cui non aveva più alcun diritto. Non poteva credere che la stupida guerra civile la stesse allontanando dalla città che era il suo centro dell’universo, dal ragazzo che amava con tutta se stessa ma ormai il loro amore non era più possibile. Josip era un nemico, il nemico che le ha spezzato il cuore e le ha causato tanto dolore come nessuno prima. Doveva dimenticarlo al più presto, come doveva dimenticare la loro città, e andare avanti con la propria vita sperando  in un futuro migliore che porrà fine all’inferno chiamato guerra. Un bel giorno potrà tornare a casa, ne era convinta.
“Selma, sbrigati per piacere. Si sentono gli aerei di nuovo. Se dovessimo passare ancora una notte così mi verrebbe un attacco cardiaco.”
“Sì, mamma. Sto arrivando.” Prese il vecchio diario che testimoniava l’amore che la legava a Josip e lo mise nella tasca della giacca.
Un giorno sarebbe tornata, quel giorno in cui l’assurda guerra civile avrebbe avuto la fine.

giovedì 11 agosto 2011

Balkanski virus - osmo poglavlje

Nisu joj dozvolili da ponese ni album sa starim slikama, ni kutijicu sa dragocenostima u kojoj je čuvala medalju sa zimskih olimpijskih igara održanim u njenom rodnom Sarajevu davne 1984. Mogla je da ponese samo neophodne stvari, neophodne za beg. Nisu joj ni rekli gde idu, samo su je zamolili da požuri. Kao da je i bilo važno gde su išli. A i da jeste, nije mogla da bira. Mogla je samo da požuri ali kako bi? Nije bilo lako ostaviti sve i jednostavno otići, otići kao da 22 godine života na ovom istom mestu nije značilo ništa. Oni su bar imali mogućnost da odu, a drugi? Drugi će ostati. I Selma je htela da ostane, ali joj nisu dozvoili. Uspela je, barem to, da iz kutijice uzme srebrnu medalju i stavi je oko vrata. Bila je to njena amajlija, amajlija koja joj je bila  potrebna u novom životu koji je očekivao daleko od njihovog Sarajeva. Jednom će se vratiti, jednom, ali sad je morala da ide makar i preko svoje volje.
Nije bilo lako ostaviti sve za sobom kao da, kao da se ništa nije dogodilo, kao da ništa nije postojalo. Kao da je neko magičnom gumicom obrisao sve ono što je Selma bila, sve ono što je bilo njena prošlost na koju više nije imala pravo. Niti je mogla da veruje da je prokleti rat udaljava od grada koji je bio centar sveta za nju, od dečka kog je volela više od sebe same ali to više nije bilo moguće. Josip je bio neprijatelj, neprijatelj koji joj je slomio srce i povredio kao niko do sada. Morala je da ga što pre zaboravi, da zaboravi svoj rodni grad i da veruje u bolju budućnost i da strpljivo čeka dan kad će paklu zvanom rat biti kraj. Jednog lepog dana kada bude mogla da se vrati kući.
„Selma, požuri zaboga. Čuju se avioni ponovo. Ako provedemo još jednu noć kao prošlu dobiću nervni slom.“
„Idem mama. Idem.“ Uzela je stari dnevnik koji je svedočio o njenoj i Josipovoj ljubavi i stavila ga u džep  jakne.
Vratiće se jednog dana. Onog dana kad besmislenom građanskom ratu bude kraj.

martedì 9 agosto 2011

Il virus balcanico - settimo capitolo

Si avvicinava la fatidica data del primo anniversario d’indipendenza della sua nuova patria che era ancora in guerra civile però in città tutto era pronto per la celebrazione. Pareva che tutti fossero contenti, tutti tranne lui. Lui non aveva nulla da festeggiare. Era passato un anno da quando era iniziato l’incubo però lui non poteva dimenticare. Gli sembrava di rivivere in ogni istante la stessa scena: la telefonata che le ha fatto, le sue lacrime quando ha saputo che lui se ne stava andando, il litigio con i genitori che non gli avevano permesso di salutarla di persona. Quello che ancora gli bruciava erano le parole di sua madre che lo fecero piangere. Né si era scordato della sua migliore amica Katarina che si era messa a piangere quando ha saputo che Dražen partiva. I primi giorni che trascorse nella capitale croata coltivava ancora la speranza del ritorno nella sua città natale che gli sembrava fosse lontana un miglio, quasi come se fosse su un altro continente, ma più il tempo passava, più la sua speranza si scioglieva come un ghiacciolo.
Era passato un anno da quando non aveva notizie di lei, però non riusciva a dimenticarla. Lui non voleva dimenticarla. Aveva persino provato di scappare da casa e tornare a Belgrado però la sua missione era un totale fiasco. Alla fine doveva arrendersi all’evidenza che non avrebbe potuto raggiungere Sonia, almeno finché ci sarebbe stata la guerra. Fino ad allora avrebbe dovuto vivere la propria vita seguendo le regole altrui e aspettare pazientemente il suo momento. Il loro momento.  Nel frattempo  ha continuato di pensarla, ricordava spesso le loro passeggiate lungo il Danubio mentre la città dormiva, le loro telefonate notturne quando chiamava per augurarle buonanotte e alla fine le augurava buongiorno. Pensava anche al fratello di lei, Darko, che era il suo migliore amico. Non era per nulla contento quando Dražen lo aveva informato alla festa di compleanno sua e di Sonia che si era innamorato di lei. Era geloso come ogni fratello che amava alla follia propria sorella, però alla fine si era convinto del loro amore e aveva accettato la loro relazione. Quante volte aveva mentito al padre per proteggere la sorella e Dražen, troppe! Erano dei tempi ormai andati ma Dražen sentiva la nostalgia che purtroppo doveva reprimere. Nessuno lo avrebbe capito se soltanto si sapesse in giro che ancora la amava. Per loro la Serbia era il paese nemico. I Serbi erano degli aggressori e Belgrado era la città nella quale si nascondeva il criminale di guerra Slobodan Milošević. Se soltanto sapessero quello che ne pensava, di sicuro l’avrebbero arrestato visto che ancora non aveva imparato il croato come si deve e non simpatizzava minimamente  per il presidente Franjo Tuđman. La vita però continuava nonostante tutto e non aveva l’altra scelta che accettare quello che gli offriva: le nuove regole del gioco che doveva seguire alla lettera, anche se era contrario.

Clair de Lune

Dear diary,

Working for a fashion and lifestyle magazine gives you the extraordinary opportunity to be in touch with great and very talented young people. And if these talented people are coming from your home country, it’s even a big plus and pleasure to work with all of them. I’ve been a part of this team for almost a year and I will always be grateful for this work and life opportunity. But I am not here to speak about the experience itself, quite positive that made me realize how much I love my work, I am here to present you Clair de Lune.

No, this is not a book title, or a movie one. Clair de Lune is the second editorial, the first one you may see here, of the best Serbian online lifestyle & fashion magazine called Wannabe. As you can see, the subaquatic pictures are really fabulous, and say a lot about geniality of the photographer Nemanja Maraš. I hope you’ll like it.

Enjoy yourselves! Please be free to leave your impressions!









Photographer: Nemanja Maraš
Photographer’s assistants: Adam Rakićević, Petar Marković
Styling: Predrag Đuknić
Stylist’s assistants: Bojana Bradić, Stevan Ristić
Make-up: Milena Milenković
Model: Isidora Marić 

domenica 7 agosto 2011

Summer time, happiness, and W..as in wedding dress

Dear diary,

Long time since we had a little talk, don’t you agree? I was kind a busy in these last three weeks. I start working at one Italian female magazine and I haven’t got so much free time. Except on weekends obviously, but I usually I like to spend those days with my family and friends and that’s why I haven’t been so much active. But now, here I am, with a cup of cappuccino on my desk, sitting in my lovely pink room, I’m all yours now!

It was really nice although a bit cloudy weekend. Pity that’s about to end. Yesterday I did some shopping and I’ve finally found the perfect wedding dress. No, I’m not getting married although I am surrounded by people who are in that kind of spirit. One of my closest girl friends from university is getting married on 27th August, here in Trento, and I am pretty much excited about that lovely event. I was in a hunt for the perfect dress with a capital p for some weeks and I’ve finally found one which perfectly fits all my needs and desires. It is a very nice dress, it was a love at the first sight when I saw it, and I couldn’t stop myself from buying it. How could I? It is like the dress itself was just waiting for me. For more details about my lovely dress, you have to wait for few more weeks. I don’t want to speak further about it, you just have to be patient and see it with your own eyes. I hope you’ll like it as much as I do!

giovedì 4 agosto 2011

Balkanski virus - sedmo poglavlje

Bližila se prva godišnjica nezavisnosti države u kojoj je živeo, u kojoj je i dalje besneo rat, ali u glavnom gradu je sve bilo spremno za slavlje. Izgledalo je da su svi bili veseli osim njega. Njemu nije bilo do slavlja, nije imao šta da slavi. Prošlo je godinu dana ali nije mogao da zaboravi. Nije mogao da zaboravi drhtaj njenog glasa preko telefona kad joj je saopštio da odlazi, nije mogao da zaboravi svađu sa njegovim roditeljima jer su mu zabranili da se lično pozdravi sa njom, niti je zaboravio reči njegove majke dok je plakao tamo na parkingu ispred njihove zgrade. Baš kao što nije mogao da zaboravi suze njegove najbolje drugarice Katarine kad joj je rekao da odlazi. Prvih par dana po dolasku u prestonicu Hrvatske gajio je nadu da će se ipak brzo vratiti u svoj rodni grad koji mu se činio tako daleko kao da se nalazio na drugom kontinentu, ali kako je odmicalo vreme, njegove nade su se topile kao sneg u proleće.
Prošlo je skoro godinu dana kako nije imao vesti o njoj, ali nije mogao da je zaboravi. Nije se ni trudio. Pokušao je čak da pobegne od kuće i vrati se u Beograd ali je njegova misija bila totalni fijasko. Na kraju je morao da se pomiri sa činjenicom da sve dok rat bude trajao moraće da živi po pravilima koja su pisali drugi i da strpljivo čeka svoj momenat. Njihov momenat. A do tada,  nastavio je da misli često na nju, na njihove šetnje pored Dunava tamo kasno u noć, kad grad utone u san, na njihove duge razgovore telefonom kad bi je pozvao samo da joj poželi laku noć a na kraju bi joj želeo dobro jutro. Mislio je i na njega, Darka. Bili su najbolji drugovi. Nije bio baš oduševljen kad mu je na njihovoj rođendanskoj proslavi saopštio da mu se sviđa njegova sestra. Bio je strašno ljubomoran, kao i svaki brat. Ali na kraju je ipak popustio kad je shvatio da je Dražen imao dobre namere i da se i njegova sestra Sonja zaljubila. Koliko puta je samo lagao njihovog oca zbog njega i Sonje, nebrojeno puta! Nedostajala su Draženu dobra i stara vremena ali je ćutao i gutao u sebi reči svaki put kad bi mu došlo da spomene nju ili grad na Savi i Dunavu. Ne bi ga razumeli. Srbija je bila neprijateljska zemlja, Srbi su bili agresori, a Beograd, Beograd je bio đavolski grad u kojem se krio zločinac Slobodan Milošević i kad bi čuli šta on zaista misli o svemu tome, strpali bi ga odmah u zatvor. Jer naravno, osim što za godinu dana nije naučio da priča tečno hrvatski što mu je dolikovalo kao pravom Hrvatu, nije bio simpatizer predsednika Franje Tuđmana. Ali život je išao dalje, i morao je da se navikne na ono što mu se nudilo i na nova pravila igre kojih je morao strogo da se pridržava i protiv svoje volje.


U zadnjih nekoliko nedelja retko da je viđala svoje najbolje drugarice i to je počinjalo strašno da joj smeta. Jeste da nisu živele blizu jedna druge ali nekad ih to nije sprečavalo da provode slobodno vreme zajedno. Spremale su se za prijemni i nisu imale baš prilike da se vide, i nekako, bar se tako činilo Tijani, kao da su izbegavale jedna drugu. Katarina je, podstaknuta svojim raskidom sa Maksimom, odlučila da upiše medicinu i učila je kao luda, uz pomoć svog oca poznatog hirurga, ne bi li ispunila ne samo njegovu nego i svoju nekadašnju želju zbog koje se, navodno, odrekla zbog Maksima. Sonja je, srećom, jedina ostala dosledna svojim starim željama i spremala se da upiše italijanski jezik. Tijana je, fascinirana poslom njenog pokojnog oca nekadašnjeg  ambasadora Socijalističke Federativne Republike Jugoslavije u Austriji koga su ubili u Beču još uvek, iako je prošlo šest meseci od zločina, neidentifikovani lopovi, odlučila, iako su se tome protivili njena majka i njen stariji brat, da upiše Političke nauke. Niko od njihovih drugova iz razreda nije znao za to, bila je to odluka u poslednjem momentu koju je Tijana krila od svih, osim od Miloša.
Nije baš bio oduševljen s obzirom da skoro niko, osim ljudi bliski njoj i njenoj porodici, nije znao za dramu koja se odigrala u Tijaninoj porodici. Mislili su da su Tijanini roditelji razvedeni i vest o ubistvu ambasadora Đurića nisu dovodili u vezu sa njihovom drugaricom koja se, igrom slučaja, prezivala kao on. I ne samo zbog toga. Nije želeo da se jednog dana to isto dogodi i njoj.  Ali Tijana je bila tvrdoglava, užasno tvrdoglava i kao i uvek radila je sve po svome. Nisu postojale reči koje bi uticale na nju da promeni odluku koju je već donela. Dugovala je to sebi, svom ocu i svojoj familiji. Milošu nije bilo svejedno ali je poštovao njenu odluku.

martedì 2 agosto 2011

Il virus balcanico - sesto capitolo

Il sole splendeva forte. Era una bellissima giornata primaverile che avesse fatto uscire da casa molti cittadini belgradesi. Lungo la via Knez Mihajlova passeggiavano le giovani coppie con i bambini. Ogni tanto qualche madre alzava la voce per chiamare proprio figlio che correva di qua e di là. Tra i passanti si potevano vedere le bellissime ragazze che non vedevano l’ora di mettere dei vestitini che più scoprivano che coprivano. Era la giornata ideale per realizzare quello che aveva in mente da quando aveva rotto con Katarina. Sperava soltanto che lei accettasse di ascoltare quello che aveva da dirle. Dovevano almeno chiarirsi dopo che avevano avuto l’ennesimo litigio la sera prima. La colpa era unicamente di Maksim. Era riuscito a farla soffrire di nuovo, non era la prima volta ma almeno in passato era pronta a perdonargli. Questa volta era diverso. Lui aveva oltrepassato il limite acconsentito e lei ha detto basta. Era stufa di tutto, delle bugie che lui le raccontava, dei suoi tanti tradimenti. Come poteva biasimarla? Aveva fatto troppi errori ma non aveva imparato niente da essi. Questa volta però era deciso di cambiare per l’amore di Katarina ma soprattutto per l’amor proprio.
“Cosa vuoi da me Maksim? Non abbiamo nulla da dirci. È finita! Capisci? Finita!” Maksim non poteva crederci. Non poteva farlo. Doveva almeno dargli l’opportunità per spiegarle come realmente stavano le cose.
“Katarina, per favore ascoltami. Solo quello ti chiedo.” Tutto il suo sforzo era invano. Non voleva sentirlo. Era ferita talmente tanto che non voleva dargli nemmeno una possibilità. Ormai aveva deciso di lasciarlo.
“Allora, siamo arrivati al capolinea?” Le chiese tristemente.
“Sembra di sì.” Disse lei. Non aveva nemmeno il coraggio per guardarlo negli occhi. Aveva paura di potergli perdonare per l’ennesima volta ma doveva resistere alla tentazione.  Finalmente ha avuto la forza per mettere la parola fine alla loro tormentata storia d’amore. Mancava però poco che si alzasse e che lo abbracciasse ma non lo fece nonostante stesse soffrendo. E non era l’unica che pativa le penne d’inferno.
Anche Maksim stava soffrendo ma lei non se ne sarebbe mai accorta. Pure lui stava soffrendo ed era sinceramente pentito. Mentre saliva sul tram diede l’ultima occhiata in direzione in cui si dirigeva Katarina. Era come se avesse la sensazione che non l’avrebbe mai più rivista.

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